Una “scienza del nuovo” per affrontare i cambiamenti che stanno per arrivare

Viviamo in tempi in cui cambiamenti economici, sociali e demografici si intrecciano in modo profondo con trasformazioni tecnologiche dirompenti, rendendo il futuro un’incognita sempre più difficile da decifrare.

Viviamo in tempi in cui cambiamenti economici, sociali e demografici si intrecciano in modo profondo con trasformazioni tecnologiche dirompenti, rendendo il futuro un’incognita sempre più difficile da decifrare. In un mondo sempre più complesso e in continuo rapido mutamento l’unica informazione certa che abbiamo sul futuro è che è diverso dal presente. Per consentire al cambiamento di diventare miglioramento è necessario fare in modo che ciò che di diverso e nuovo il futuro porta rispetto al presente sia messo nelle condizioni di rendersi valore aggiunto.

Dobbiamo allora potenziare molto di più, rispetto alle società del passato, la capacità di capire il mondo che cambia, di aggiornare continuamente le coordinate di un sistema di rischi e opportunità in continuo mutamento, di mettere i cittadini nelle condizioni di sentirsi parte attiva di una realtà che migliora attraverso le loro scelte e i loro comportamenti. Ciò al fine di fornire basi concrete alla ragionevole aspettativa che ciò che di positivo si può ottenere dal cambiamento sia maggiore rispetto a ciò che si può conservare trincerandosi dietro (supposte) sicurezze del passato.

In questa prospettiva avremmo bisogno di sviluppare una “scienza del nuovo”, con approccio multidisciplinare e integrato, non limitata alle conquiste dell’innovazione tecnologica, ma estesa a tutte le dimensioni della vita umana in continua tensione verso il futuro. Questo porta ad includere, in particolare, il potenziale delle nuove generazioni, le opportunità legate alle nuove fasi della vita offerte dalla longevità, il contributo dei nuovi arrivati attraverso i flussi migratori, oltre, appunto, alle sfide poste dalla rivoluzione digitale.

Le nuove generazioni rappresentano la principale novità di ciò che nel presente si apre verso il futuro. Portano nuove sensibilità, nuove aspirazioni, nuove modalità di apprendimento, nuova visione del mondo in coerenza con le sfide del proprio tempo. Riconoscere la loro novità e metterle nelle condizioni di formarsi bene, inserirsi in modo efficiente nella società e nel mondo del lavoro, trovare spazi di valorizzazione della loro capacità di essere e fare, è sempre più indispensabile a fronte delle trasformazioni demografiche e tecnologiche in atto.  Devono potersi sentire nel percorso formativo “Future ready citizens”, ancor prima che farsi “Future ready workers”.

Un’altra novità da imparare a valorizzare meglio, in modo sistemico e integrato con i grandi cambiamenti in atto, è costituita dalle nuove fasi della vita. Anche qui abbiamo bisogno di nuove chiavi interpretative e nuovi strumenti. Non solo si vive più a lungo, ma sono in rivoluzione qualitativa le fasi della vita. In particolare, il continuo aumento della longevità, unito ai progressi delle tecnologie abilitanti, va ad aprire spazi inediti di opportunità per una partecipazione economica e sociale attiva nelle età adulte mature (i nuovi sessantenni e settantenni). In Italia, il potenziale su questo fronte è particolarmente elevato ma attualmente poco valorizzato. Il mero spostamento in avanti dell’età pensionabile non migliora benessere e produttività se non si forniscono contestualmente strumenti culturali e di policy che aiutino a riconoscere le specificità delle nuove fasi della vita e a favorire coerenti modalità per generare valore economico e sociale.

Una terza componente di importanza crescente del mondo che cambia è quella dei movimenti migratori. Da un lato, lo sviluppo tecnologico ha reso più facile e comune spostarsi per turismo, studio, lavoro. D’altro lato, la crescita differenziata della popolazione nelle varie aree del mondo, l’invecchiamento e la carenza di manodopera in molti settori nei paesi più ricchi, l’ampia presenza di giovani nei paesi economicamente meno avanzati, tendono ad alimentare una continua crescita delle migrazioni internazionali. A ciò si uniscono gli effetti dell’instabilità politica e ambientale. Imparare a gestire bene questi movimenti è indispensabile per renderli funzionali e coerenti ad un miglior sviluppo dei paesi di partenza e di quelli di destinazione. Ma le ricadute positive non sono scontate. Subire questo fenomeno senza capirne le cause, le caratteristiche, le condizioni di integrazione sociale e culturale, porta a tensioni, sfruttamento, insicurezza. Si tratta di un fenomeno complesso che non ha soluzioni semplici e che richiede una maggiore capacità, rispetto a quella attuale, di essere interpretato e governato oltre l’emergenza continua.

Infine, le nuove tecnologie rappresentano senz’altro una delle più grandi rivoluzioni della nostra epoca, offrendo opportunità straordinarie per migliorare il benessere umano e affrontare sfide globali. L’intelligenza artificiale, l’automazione, il machine learning, e le tecnologie digitali in generale, offrono strumenti potenti per affrontare problemi complessi, migliorare l’accesso a beni e servizi e creare nuove opportunità di crescita.

Tuttavia, queste potenzialità non si realizzano automaticamente e non necessariamente portano a benefici condivisi. Senza una chiara direzione si rischia, da un lato, di sprecare opportunità cruciali, e, d’altro lato, di alimentare nuove disuguaglianze invece di ridurle. Le tecnologie non sono intrinsecamente buone o cattive: il loro impatto dipende da come le sviluppiamo, dalla funzione che le attribuiamo e dall’uso che ne facciamo.  L’automazione, ad esempio, ha il potenziale di migliorare l’efficienza produttiva, ma può anche portare alla perdita di posti di lavoro. Un altro limite riguarda la concentrazione del potere tecnologico nelle mani di pochi attori globali, in particolare grandi aziende tecnologiche. Questo rischia di creare squilibri di potere, di concentrare benefici su un insieme limitato di persone, di esporre a conseguenze negative per la sicurezza e la privacy.

Una delle frontiere più avanzate di sviluppo dell’intelligenza artificiale è quella applicata  alla longevità. Come ha recentemente sottolineato Paolo Benanti su Avvenire, la ricerca in questo campo mostra segnali di spostamento di attenzione e interesse verso come migliorare l’attesa di vita di pochi con alta disponibilità di risorse rispetto a come curare patologie gravi con uguale accesso per tutti. Un chiaro esempio di “moltiplicatore di diseguaglianze”.

La vera sfida, insomma, non è in sé sviluppare tecnologie sempre più avanzate, ma garantire quelle che contribuiscono a un futuro più giusto, inclusivo e sostenibile.

Abbiamo, insomma, bisogno di una scienza del nuovo che non si esaurisca nella produzione di innovazione tecnologica, ma che aiuti a sviluppare una capacità collettiva di riconoscere ciò che è nuovo, comprenderne i limiti e le potenzialità, e orientarlo per generare valore condiviso.  Una scienza che non solo metta in sinergia saperi diversi, ma che sappia porsi anche in relazione dialettica positiva con la politica, i corpi intermedi e la società civile. Solo promuovendo, infatti, una prospettiva partecipativa che unisca in modo virtuoso competenze e responsabilità dei vari attori è possibile costruire una visione condivisa di futuro desiderato realizzabile.

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