Nel tradizionale Discorso di fine anno il Presidente Mattarella ha ben espresso la contraddizione di un’Italia che, da un lato, disconosce le attese delle nuove generazioni e le fa sentire “fuori posto”, dall’altro, ha “bisogno dei giovani”, “delle loro speranze”, “della loro capacità di cogliere il nuovo”.
L’aspetto più oggettivo ed evidente del depotenziamento del ruolo delle nuove generazioni è quello demografico, come hanno confermato i dati del Censimento Istat pubblicati a fine 2023. Tra la fine del secolo scorso e le prime decadi dell’attuale l’Italia è stato il paese che con più metodica perseveranza in Europa ha agito nell’opera di indebolimento strutturale di tutta la fascia giovanile. Un processo di degiovanimento che ora sta riversando gli effetti negativi sulle coorti in entrata nella vita adulta e nella piena età lavorativa. Secondo i dati Eurostat, negli ultimi vent’anni (dal 2002 al 2022), la popolazione europea è diminuita di 4,4 milioni nella fascia d’età 30-34 (da 32,5 a 28,1 milioni). La corrispondente perdita dell’Italia è stata di 1,3 milioni, pari a circa il 30% della perdita totale osservata nell’Ue-27.
La fase attorno ai 30 anni va considerata un punto nevralgico del rapporto tra presente e futuro. A livello individuale, dalle condizioni in tale fase della vita dipendono le prospettive di realizzazione dei progetti personali e la carriera professionale. A livello collettivo, dalla qualità e dalla solidità delle coorti dei trentenni dipendono le prospettive di sviluppo e competitività del sistema paese. Gli indicatori che riguardano la fascia in età 30-34 anni sono, quindi, particolarmente informativi sul destino di un paese e sulla capacità di far fronte alle sfide del proprio tempo. I dati negativi dei trentenni italiani dovrebbero, pertanto, costituire la maggiore preoccupazione per il nostro paese. Per converso, come ha sottolineato il Presidente Mattarella, proprio dal rafforzamento della condizione dei giovani-adulti l’Italia può ottenere i margini maggiori di miglioramento. Questo vale ancor più per la componente femminile.
Lo spreco delle potenzialità delle nuove generazioni può essere misurato dal tasso di NEET, che indica la percentuale di giovani che non si stanno formando e nemmeno sono occupati. L’Unione europea è molto preoccupata del fatto che l’incidenza di chi si trova in tale condizione risulti superiore al 10% nella fascia 15-29. L’Italia è uno dei paesi membri con livelli che risultano persistentemente alti in tutta la fase giovanile, fin oltre i 30 anni. Sempre secondo i dati più recenti Eurostat (riferiti al 2022) nella classe 30-34 è Neet un giovane su quattro contro una media Ue-27 minore a uno su sei. Tra i maschi il divario è rilevante, pari a circa 5 punti percentuali (15,5% contro 10,2%), ma sul versante femminile il gap con le coetanee europee è addirittura quasi il triplo (36,1% contro il 21,3%). Questo significa che il potenziale maggiore di miglioramento del paese sta nella convergenza della qualità della formazione e della valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni ai livelli medi europei. Con attenzione particolare alle competenze nelle materie Stem (science, technology, engineering, mathematics) e alla possibilità di armonizzare tempi di vita e di lavoro.
Quello che il sistema paese deve in modo strategico promuovere e favorire sono le scelte delle giovani donne attorno ai 30 anni. Ad essere più deboli e meno sostenute, rispetto ai paesi con cui ci confrontiamo, sono soprattutto la scelta di lavorare e la scelta di avere figli, sia singolarmente che in combinazione tra di loro. Questo vale anche all’interno del territorio italiano: non è un caso, come evidenziano i dati dell’ultimo Censimento Istat, che la crisi demografica sia più accentuata nelle regioni del Mezzogiorno che presentano anche più bassa partecipazione femminile e maggiori divari di genere e sociali.
Le opportunità di ingresso e valorizzazione nel mondo del lavoro delle giovani donne devono convergere verso la media europea, non solo vedere ridurre il gap rispetto agli uomini (divario che teoricamente può diminuire anche con un peggioramento delle prospettive maschili). Inoltre, il tasso di occupazione femminile può convergere sui valori europei se migliorano le opportunità delle donne con figli piccoli. Livelli più alti di partecipazione non possono essere ottenuti solo a scapito di una maggior rinuncia alla realizzazione in ambito familiare.
Fare in modo che le trentenni italiane – componente in forte riduzione quantitativa nella popolazione italiana e fase in cui si concentrano scelte cruciali – si sentano pienamente al proprio posto nel contesto sociale, aziendale, familiare, è l’impegno principale che il paese dovrebbe darsi in questo nuovo anno e da rafforzare nei prossimi. In coerenza con ciò uno degli indicatori più strategici su cui misurare la capacità di sviluppo economico e sociale dell’Italia è il tasso di occupazione delle donne in età 30-34 con figli piccoli (under 6). Su tale indicatore abbiamo grandi margini di recupero, sia all’interno del territorio sia rispetto alle altre economie avanzate. Nei paesi in cui tale tasso cresce risulta più alta l’occupazione generale (anche per gli uomini e per le donne senza figli). Inoltre, maggiore risulta la natalità e più bassa la povertà delle famiglie con figli. E’ più solida, di conseguenza, la forza lavoro e diventano meno accentuati gli squilibri demografici. L’aumento di tale indicatore porta ad una riduzione delle diseguaglianze di genere e generazionali, le quali tendono ad essere maggiori nei contesti territoriali e sociali più svantaggiati. Si associa quindi anche ad una maggiore mobilità sociale.
Ha implicazioni positive sulle età precedenti, perché un’elevata occupazione a trent’anni è possibile solo migliorando tutta la transizione scuola-lavoro, oltre che rafforzando gli strumenti di conciliazione e la cultura della condivisione nei ruoli di cura. Ha ricadute sulle età successive, dato che le difficoltà di continuare a lavorare in presenza di figli (punto dolente del nostro paese come conferma un dossier del servizio studi della Camera) compromette la continuità di carriera e il raggiungimento di un’adeguata pensione. Migliorare tale indicatore è, quindi, anche la più efficace assicurazione sulla sostenibilità sociale del paese.
Rende, infine, il sistema Italia complessivamente più attrattivo, dando il segnale che qui i giovani possono trovare crescenti opportunità di carriera e di realizzazione dei loro progetti di vita (non è un caso che nei flussi in uscita di giovani, in cerca del proprio posto altrove, a crescere maggiormente negli ultimi anni sia stata proprio la componente femminile).
Agire su questo fronte non porterà a risolvere tutti i problemi, ma è senz’altro quello in cui il paese può trovare la sua maggior spinta, al meglio delle proprie potenzialità, per aggiustare la rotta e agganciarsi ai più virtuosi percorsi di sviluppo inclusivo e sostenibile.