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L’alleanza tra la buona politica e la giovane Italia del fare

Fare politica per molti significa conquistare posizioni di prestigio e potere, per altri occuparsi della città e del suo funzionamento. Le due cose non si escludono e nella maggior parte dei politici questi due diversi aspetti convivono in varia misura. I bravi politici non sono molti, come non sono molti quelli davvero pessimi. Ampia è invece la presenza di mediocri, compresi molti giovani impreparati precipitati nella politica da chissà dove. Uno dei nostri problemi è la grande proliferazione di questa categoria. Perché ne abbiamo così tanti? La risposta è semplice: perché chi li vota è spesso più mediocre di loro. C’è in realtà un’altra risposta meno severa con noi stessi: perché gli italiani sono così tanto occupati a far tornare i conti in un paese malgovernato che non hanno tempo materiale di informarsi attentamente e di valutare come operano i decisori pubblici. Abbiamo certamente una vita molto più complicata, ad esempio, degli svizzeri. Eppure non siamo peggiori di loro, siamo semplicemente collettivamente meno intelligenti. Può accadere che ciascuno di noi valga quanto o più di uno svizzero, ma tutti assieme valiamo certamente di meno. A parità di impegno individuale miglioriamo di meno il benessere collettivo, anche perché da noi ottiene di più non tanto chi produce maggiore utilità sociale ma chi riesce a fare la voce più grossa. Ciascuno ripiegato sui propri problemi quotidiani abbiamo smesso di guardare con attenzione i mutamenti della realtà attorno a noi. La conseguenza è che siamo diventati bravi a difenderci ma sempre meno in grado di capire da dove arrivano i problemi e come risolverli assieme.

Quell’energia sociale spontanea che sgorga nelle strade di Milano

 

Una parte sempre più rilevante della nostra vita di comunicazione e relazione si è spostata negli ultimi dieci anni sul web. I membri delle nuove generazioni trascorrono più tempo sui social network che a conversare amabilmente con compagni di studio, colleghi di lavoro e vicini di casa. Ma è in crescita anche la presenza in rete delle persone più mature. Molti di coloro che non hanno mai usato internet per lavoro né tantomeno ai tempi della scuola, scoprono i social network dopo la pensione e non solo per i contatti con figli e nipoti, ma sempre più anche per interagire con coetanei e coltivare nuovi interessi e amicizie. Le due dimensioni, quella della rete e della vita reale, non sono necessariamente in contrapposizione o indipendenti, possono anzi in molti casi arricchirsi vicendevolmente. Lo dimostra il successo delle “social street” messo in evidenza da una recente ricerca coordinata da Cristina Pasqualini, ricercatrice dell’Università Cattolica.

La sharing economy è molto più di una app

Fino a pochi anni fa nessuno parlava di sharing economy, oggi è uno dei temi più in voga nei dibattiti sui nuovi processi di cambiamento economico e sociale. C’è chi parla di nuovo paradigma e chi di nuovo capitalismo svuotato dal concetto di possesso. La proprietà nelle epoche passate garantiva sicurezza e potere.

Gestire bene l’immigrazione aiuta il Paese a crescere

Nelle pagine conclusive di “Se questo è un uomo”, uno dei libri più utili per capire l’abisso della condizione umana, Primo Levi racconta gli ultimi giorni di vita ad Auschwitz. I nazisti, pressati dall’imminente arrivo delle truppe alleate, avevano evacuato il campo lasciando solo gli ammalati. Vari drammatici giorni di freddo, fame e stenti trascorsero prima dell’arrivo dei liberatori. Scrive l’autore: “Venne l’oscurità; di tutto il campo la nostra era l’unica camera munita di stufa, del che eravamo assai fieri. Molti malati di altre sezioni si accalcavano alla porta”. Quale fu la reazione? Non furono lasciati entrare, ma allontanati con fermezza e abbandonati al loro destino. Non c’era spazio per tutti. L’ingresso di altre persone avrebbe ridotto drasticamente le probabilità di sopravvivenza di chi si si era già stabilmente insediato nella camera e aveva contribuito a renderla più vivibile rispetto a tutte le altre.

La generazione stage chiede vero lavoro

Il lavoro per un paese è come il vento per una barca a vela. Se non soffia, la barca rimane ferma. Ma ciò accade anche se le vele, per imperizia, non sono ben disposte. E’ inoltre vero, citando Seneca, che nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa dove andare. In questi anni abbiamo sentito molte discussioni sul vento che mancava o che cambiava, ma poco si è ragionato sulla direzione da intraprendere. Irrisolta è rimasta, in particolare, la questione di quale lavoro per quale modello di sviluppo.