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I tre fronti su cui agire la sfida demografica

Non si possono discutere le strategie competitive e analizzare gli scenari geopolitici, economici, tecnologici e sociali ignorando la sfida che pone la demografia. Una chiara testimonianza di questa consapevolezza arriva dal Forum Ambrosetti, in corso in questi giorni a Cernobbio, dove il tema è messo in programma e con l’occasione viene anche presentato un esteso report dal titolo “Rinascita Italia. Come invertire il trend demografico a beneficio del futuro del Paese”.

Il report parte dal riconoscimento che “Il fenomeno della decrescita demografica, seppur ampiamente dibattuto, non sembra intraprendere ancora una concreta strada verso una sua soluzione. Il rischio che il Paese corre non è da sottovalutare, sia da un punto di vista sociale che culturale ed economico”.

Denatalità. Agire subito per evitare il crollo

Ci sono tre aspetti preoccupanti della demografia italiana. Il primo è dato dalle dinamiche particolarmente negative della natalità e dagli effetti distorcenti che produce sulla struttura per età. Il secondo dall’incapacità di mettere in atto politiche efficaci per dare risposta a tali dinamiche. Il terzo è l’essere entrati in una fase in cui il non agire con misure adeguate e incisive non lascia l’Italia solo in posizione più debole rispetto al resto d’Europa, ma la espone maggiormente ad un inasprimento continuo degli squilibri. Va precisato che la causa della distorsione della struttura per età non è l’invecchiamento in senso proprio, ovvero la longevità. In questo l’Italia non si distingue dalle altre economie mature avanzate. La distorsione è dovuta alla persistente bassa natalità che produce il processo di degiovanimento, ovvero la riduzione continua della consistenza delle nuove generazioni. Come conseguenza di tale processo l’Italia sta subendo un crollo del tutto inedito e maggiore rispetto alle altre economie mature avanzate della fascia giovane-adulta. La combinazione tra bassa fecondità e riduzione della popolazione nell’età in cui si forma una famiglia, rischia di portare ad una sorta di reazione a catena generazionale: meno genitori e via via ancor meno figli e genitori futuri.

Debito e sostenibilità, la sfida demografica incombe sui conti italiani

Nota a cura di Massimo Bordignon, Leonardo Ciotti, Alessandro Rosina e Nicoletta Scutifer

La crisi demografica rappresenta una delle principali fonti di preoccupazione per la sostenibilità delle finanze pubbliche e il finanziamento del sistema di welfare in molte economie mature. Questo è particolarmente vero per l’Italia, che è già gravata da un elevato debito pubblico e che presenta le peggiori prospettive demografiche tra tutti i principali Paesi europei. Le stime contenute nel Def 2023 catturano bene questo scenario, con un debito pubblico su Pil che, in assenza di interventi, si inerpica fino al 180 per cento entro il 2050 generando seri rischi di sostenibilità finanziaria. Ma non è obbligatorio arrendersi a questo scenario. Per il futuro dell’Italia e anche per garantire sistemi adeguati di sostegno alle persone, serve un approccio integrato che combini assieme politiche per la natalità, per evitare che in futuro la crisi demografica si autoalimenti con sempre minor donne in età fertile, con politiche per aumentare i tassi di occupazione, troppo bassi nei confronti internazionali, e politiche di attrazione di un maggior numero di immigrati con competenze più elevate. Ciascun intervento sosterrebbe l’altro, in un circuito che può diventare virtuoso, come mostra l’esempio tedesco. L’alternativa, ossia rimandare il problema facendo finta che non esista, può risultare disastrosa.

Le stime sulla sostenibilità del debito pubblico italiano nel lungo periodo riportate nel Def 2023 meritano di essere riprese e discusse con attenzione. Mentre nel breve periodo, a seconda dei diversi scenari ipotizzati, la traiettoria del rapporto debito/Pil resta confortante, seppur legata all’attuazione di politiche severe di controllo della dinamica della spesa, nel lungo periodo la situazione si inverte e il debito rischia di crescere fino a livelli insostenibili. Anche questo scenario naturalmente risente di ipotesi specifiche (che discutiamo in dettaglio più avanti), ma il suo andamento è soprattutto influenzato dal rapido declino demografico e dall’andata in quiescenza nei prossimi vent’anni delle ancor popolose generazioni nate negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Purtroppo, mentre le stime sulla crescita economica e sui tassi di interesse nel lungo periodo sono caratterizzate da ampi margini di incertezza, quelle demografiche tendono a essere più affidabili, in quanto basate sulle generazioni attualmente viventi, sulla loro speranza di vita e sui loro comportamenti riproduttivi. Non a caso, il Def conclude che “la transizione demografica è una delle sfide più rilevanti che l’Italia dovrà affrontare nel corso dei prossimi decenni”.

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Crisi demografica UE, nascite a picco. Ecco come provare a invertire la rotta

Nessun paese in Europa presenta un tasso di fecondità sufficiente a garantire un equilibrio nel rapporto tra generazioni. Nel 2010 si avvicinavano a tale livello (attorno ai 2 figli per donna) Francia, Svezia e Irlanda. Nel 2019 – prima dei travagliati anni della pandemia e della guerra – tali paesi risultavano tutti scesi sotto. Il valore più alto alla fine del decennio scorso è rimasto comunque quello francese (pari a 1,87, con Svezia e Irlanda scese a 1,71). Anche Stati Uniti e Australia hanno avuto un andamento simile.

All’Italia resta un decennio per tornare a 500mila nascite. Poi sarà troppo tardi

Se le nascite in Italia proseguissero il percorso di diminuzione con il ritmo osservato nel decennio scorso (a cui si è poi aggiunta l’incertezza della pandemia) ci troveremmo ad entrare nella seconda metà di questo secolo con reparti di maternità del tutto vuoti. Lo scenario di zero nati nel 2050 difficilmente verrà effettivamente osservato – le dinamiche reali sono più complesse di una semplice estrapolazione – i dati però ci dicono che alto (oltre il livello di guardia) è diventato il rischio di un processo di declino continuo della natalità.