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La sfida è una città che si apra al futuro

Il titolo del libro appena pubblicato da Giuliano Pisapia, “Milano città aperta” – al di là dei sassolini da togliere – offre una chiave di lettura dell’impronta che il sindaco ha voluto lasciare con la sua amministrazione. Il desiderio, indicato esplicitamente nel testo, è essere ricordato come protagonista di una stagione di cambiamento. In effetti, nel primo decennio del XXI secolo la città è apparsa oscillare tra la propensione ad aprirsi e sfidare i cambiamenti, da un lato, e la resistenza verso il nuovo e la tentazione a chiudersi in difesa, dall’altro. La crisi ha agito spingendo più verso il secondo dei poli, mentre – quanto meno nelle intenzioni – la giunta Pisapia ha cercato di indirizzare le energie della società a favore del primo. Oggi la città sembra in effetti più “aperta” rispetto a cinque anni fa e il fatto che il sindaco abbia posto con enfasi tale termine nel titolo del libro – pur nelle varie accezioni che si possono attribuire – fa pensare che lo consideri un risultato acquisito o, in ogni caso, senta di aver messo in moto un irreversibile processo in tale direzione.

11 miliardi sul pianeta e l’incerto destino dell’Africa

Molti osservatori non esperti si sono quindi chiesti fino a che punto possiamo fidarci delle previsioni.

L’arte di prevedere il futuro
Alcune considerazioni possono essere d’aiuto. La prima è che per definizione le previsioni sono sbagliate. Nessuno conosce il futuro. Rimane però vero che ammontare e struttura della popolazione non cambiano repentinamente, fatti salvi eventi catastrofici. C’è quindi un fattore inerziale che aiuta a costruire scenari affidabili nel breve e medio periodo, ma nel lungo termine l’incertezza rimane alta. Tanto per fare un esempio, possiamo facilmente prevedere la popolazione italiana nel 2014, dato che sarà composta soprattutto da persone già presenti oggi, ma molto più complicato è sapere quanti e come saremo nel 2114.  L’unico modo per difenderci da questa incertezza è aggiornare continuamente le previsioni tenendo conto dei cambiamenti in corso.
Una seconda considerazione riguarda il fatto che le variazioni maggiori coinvolgono un insieme limitato di paesi, in particolare quelli con fecondità molto elevata. Sono in tutto 31, di cui 29 in Africa. Difficile allo stato attuale capire quando e con che rapidità si realizzerà anche per essi la transizione riproduttiva.