Come ogni anno, lo scorso 11 luglio si è celebra la Giornata Mondiale della Popolazione. Nelle diverse aree del pianeta questa celebrazione assume significati diversi perché, pur essendo la Terra sempre più una casa comune, diverse sono le sfide che la demografia pone a benessere, sviluppo, rapporto con l’ambiente. Per tutti è comunque l’occasione per riflettere su quanto piccoli siamo individualmente e quanto grandi sono le sfide che dobbiamo affrontare collettivamente. Non siamo mai stati così tanti, eppure oggi a Milano si vive, mediamente, molto meglio rispetto all’epoca di Sant’Ambrogio o a quella di Manzoni. Ma vale anche per altre aree del mondo? Complessivamente sì: mentre nel 1800 un bambino che avesse voluto scegliersi la nazione in cui nascere non ne avrebbe trovata nessuna con aspettativa di vita superiore ai 40 anni, oggi anche nel più sfortunato dei Paesi non si scende sotto i 50 anni. Stiamo meglio e viviamo di più, ma sono aumentate anche le diseguaglianze. Tra il Giappone e la Sierra Leone ci sono 33 anni di vita di differenza.
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L’assessorato trasversale che manca
Mentre il Regno Unito stenta a riprendersi da Brexit, la Spagna vive l’incertezza di un ritorno al voto non risolutivo, in Italia scende la fiducia di imprese e consumatori, Roma è ancora senza giunta, a Milano si respira aria di tranquillità e in tempi brevi è già al lavoro la squadra del nuovo sindaco. L’impressione, guardando la composizione, è quella di un giusto mix tra continuità e rinnovo con competenze solide, che riflette anche un mix di presenza di politici, ancorata alle preferenze ottenute, e di apertura a tecnici di qualità. Non manca, inoltre, il mix giusto generazionale e di genere. Insomma, una giunta Mi che porta con sé una x tutta da scoprire nei prossimi cinque anni, ma che sembra partire con buoni auspici.
Una stagione nuova senza rischi di nuovismo
La stagione di Pisapia è finita. Verrà ricordata come un periodo in cui Milano ha voluto (e in parte saputo) essere all’altezza delle proprie ambizioni. L’ex sindaco ha lasciato un’eredità positiva da cui ripartire, nella sostanza ma anche nello stile, prima ancora che nel metodo. Per avere una conferma di quanto sia stato in grado di mettersi in sintonia con i cittadini, operazione rara per i politici di oggi, basta leggere i commenti al messaggio di congedo come sindaco postato martedì scorso sulla sua pagina Facebook.
La città dell’astensione non ha futuro
In un grosso villaggio, situato nel mezzo di una valle rigogliosa, venne il tempo di dover eleggere il nuovo borgomastro. Quello precedente, benvoluto dalla grande maggioranza degli operosi abitanti, aveva deciso di ritirarsi e a nulla erano valsi gli appelli a ripensarci. Dato che non aveva indicato un suo successore si formarono subito due opposte fazioni. La prima era formata dai collaboratori del vecchio sindaco. Costoro, dopo vari confronti vivaci, non riuscirono a trovare un accordo interno e decisero di rivolgersi ad un notabile del posto. Visto che l’anno prima si era ben distinto nell’organizzare una grossa fiera commerciale di successo, sembrò questi un nome in grado di trovare ampio consenso dai cittadini. La seconda fazione era invece formata da chi aveva mal sopportato le novità introdotte dal vecchio borgomastro, auspicava maggior autonomia dal governo centrale e un ritorno alle sicurezze del passato. Anche per questa fazione trovare un proprio candidato non fu facile e alla fine, similmente all’altra, la scelta cadde su uno stimato uomo d’affari.
I millennials non votano per partito preso
Durante la campagna elettorale si è spesso detto che Sala e Parisi si somigliano. Nel primo turno hanno staccato tutti gli altri ottenendo un’analoga percentuale di voti. Persino nel confronto di Sky hanno conquistato consensi praticamente uguali. Molto diverso è però il mondo politico a cui fanno riferimento e, di conseguenza, la Milano che rappresenteranno nei prossimi cinque anni. Tale differenza emerge in modo chiaro quando si confrontano i campioni delle preferenze nelle singole liste. Nel centrodestra i nomi sono quelli di Gelmini, Salvini e Decorato, mentre per il centrosinistra troviamo Majorino, Del Corno e Tajani. Nel secondo turno più che pensare a Renzi o al candidato sindaco, dovremmo allora decidere quale desideriamo prevalga tra questi due mondi e tra le corrispondenti concezioni della Milano sociale ed economica. Questa differenza gli elettori non l’hanno capita fino in fondo e i due candidati sindaco non sono riusciti (più Sala) o non hanno voluto (più Parisi) farla capire.