Tagged: lavoro

Esigua, fragile, demotivata. Una generazione fantasma si aggira per l’Italia

Il rapporto tra giovani e mondo del lavoro è in profonda trasformazione. Alto è il rischio, in particolare, che la generazione Zeta, la prima a svolgere tutta la propria vita in questo secolo e la prima a proiettare tutta la propria carriera lavorativa nel post pandemia, diventi una ghosting generation.

L’Italia, con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ha concentrato la sua attenzione sulla necessità di dare una infrastruttura al paese che, da un lato, superi i limiti del passato e, dall’altro, sia coerente con le sfide del futuro legate alla transizione verde e digitale. Tutto questo, però, non può essere realizzato come un vestito con modello, foggia e materiale pensati per il cambio di stagione ma senza aver preso misure, caratteristiche e preferenze di chi dovrà indossarlo. Misure, caratteristiche e preferenze delle nuove generazioni corrispondono a tre ordini di fattori sottovalutati nel recente passato, ma destinati ora a pesare in modo combinato sulla possibilità di rilancio del paese con il rischio di vincolarla al ribasso.

Il primo è quello che ha cause più strutturali e radicate nei processi di medio-lungo periodo. Ci siamo preoccupati negli ultimi decenni dell’invecchiamento, ovvero del continuo aumento della popolazione anziana, ma molta meno attenzione abbiamo dato alla progressiva e accentata riduzione della consistenza quantitativa delle nuove generazioni. I dati Eurostat più recenti evidenziano come l’Italia sia lo stato membro con percentuale più bassa di under 30: 28,3% contro valori superiori al 33% in gran parte d’Europa.

Il riscontro dell’essere il paese che sta affrontando la più drastica riduzione del potenziale di forza lavoro in modo del tutto inedito rispetto al passato, lo si può ottenere dal confronto tra la fascia di età 30-34 e la fascia 50-54. In Italia la prima risulta ridotta del 33% rispetto alla seconda, mentre il divario è più contenuto in Francia (meno del 10 percento) e in Germania (meno del 15 percento). Insomma, la generazione che si sta immettendo all’interno dei processi produttivi nel nostro paese è un terzo in meno rispetto a chi ha occupato sinora la parte centrale della forza lavoro. Nessun altro paese in Europa sta sperimentando un crollo di questa entità. Come ci siamo preparati sinora?

Questo processo di “degiovanimento”, finora trascurato, va considerata una delle sfide principali di tutto il paese, rispetto alla quale le nuove generazioni non vanno considerate il problema ma aiutate a diventare la soluzione. Formare bene i giovani, inserirli in modo efficiente nel mondo del lavoro, valorizzarne al meglio il contributo qualificato nelle aziende e nelle organizzazioni, consente di rispondere alla riduzione quantitativa dei nuovi entranti con un rafforzamento qualitativo della loro presenza nei processi che alimentano sviluppo economico, innovazione sociale, competitività internazionale. Frenerebbe, inoltre, la loro fuga verso l’estero e li metterebbe anche nelle condizioni di realizzare in modo più solido il loro progetti di vita, con conseguenze positive sulla formazione di nuovi nuclei familiari e sulla natalità.

Finora il nostro paese si è però rivelato tra quelli in Europa con politiche meno efficaci su questo fronte. E qui sta il secondo ordine di fattori che nel dopo pandemia si stanno ulteriormente complicando. E’ ben noto il fatto che il nostro paese da troppo tempo detiene il record in Europa di NEET (i giovani che non studiano e non lavorano). Le cause vanno attribuite a limiti e inefficienze in tutto il percorso di transizione scuola-lavoro. La risposta non sta, però, solo nel rafforzamento dei centri per l’impiego. Come molte ricerche sul tema evidenziano, a monte c’è anche un deficit di formazione e di competenze di molti ragazzi che escono dal sistema dell’istruzione. Oltre alla preparazione culturale e tecnica, a fare la differenza tra chi rischia di trovarsi intrappolato nella condizione di Neet e chi, invece, trova la propria strada, è la debolezza delle soft skill (o delle life skill più in generale).

Proprio su questo tipo di competenze si registra il maggior peggioramento dopo l’impatto pandemico. I dati del Rapporto giovani 2022 dell’Istituto Toniolo, appena pubblicato, evidenziano come nel suo complesso la crisi sanitaria sia stata vissuta dai giovani come una grande esperienza collettiva negativa, che ha eroso in modo marcato le risorse positive interne e le competenze sociali in tutte le dimensioni. A diminuire è in particolare chi afferma di avere (“molto” o “moltissimo”) una “Idea positiva di sé” (scesi nei due anni di pandemia da 53,3% del 2020 a 45,9% nel 2022) ma anche chi ha “Motivazione ed entusiasmo nelle proprie azioni” (passati da 64,5 a 57,4%) e chi sa “Perseguire un obiettivo” (da 67,0 a 60,0%).

Il peggioramento è ancora maggiore per chi vive in contesti territoriali deprivati e con meno risorse socio-culturali di partenza. Da un lato questi giovani hanno bisogno di rispondere all’esperienza collettiva negativa mettendosi alla prova con esperienze concrete personali positive. D’altro lato proprio l’erosione delle life skill li rende ancor più fragili rispetto alla capacità di ingaggio e impegno nella partecipazione sociale e lavorativa.

Se, quindi, già prima della pandemia molti giovani si trovavano fuori dal radar delle politiche di attivazione, oggi il non farsi rintracciare rischia per molti di diventare intenzionale. A prevalere sembra essere il bisogno di ritagliarsi un tempo di ritrovata normalità del presente senza restrizioni e complicazioni, ma rischiano di aumentare disorientamento e vulnerabilità se non vengono aiutati a ridefinire le coordinate in cui ritrovare una propria progettualità. Il rischio è che la Zeta diventi una “ghosting generation”, demograficamente leggera e con i singoli membri portati a sottrarsi. Giovani connessi ma con deboli segnali di presenza e con bassa propensione a dar spiegazioni del perché chi li cerca non li trova  (non solo nella dimensione affettiva).

Molti si sottraggono anche (in questo caso soprattutto chi ha maggior formazione e più alte aspirazioni) perché lasciano i contesti – territori e organizzazioni – che non forniscono stimoli e valorizzazione all’altezza delle proprie aspettative. E qui si entra nel terzo ordine di fattori. Sempre i dati del Rapporto giovani, in coerenza con altri segnali emergenti, mostrano come la pandemia abbia accelerato anche un cambiamento nel sistema di priorità e indotto a ridefinire lo spazio strategico in cui collocare la propria azione nei processi di sviluppo economico e sociale, quindi anche rispetto a senso e valore da dare al lavoro.

Si tratta di un cambiamento che complica ancor di più i meccanismi, quantitativi e qualitativi, di confronto e incontro tra domanda e offerta. L’esito auspicato è che la debolezza demografica dei nuovi entranti possa favorire una crescente attenzione non solo rispetto a cosa possono portare nelle aziende in termini di competenze tecnologiche ma ancor prima a come riconoscere e valorizzarne le specificità antropologiche. Ciò significa dare più importanza, dal lato dell’offerta, a cosa sono portati a dare e desiderano essere rispetto a ciò che, lato domanda, ci si aspetta debbano conformarsi a fare (troppo spesso, finora, adattandosi al ribasso).

Da come il mondo del lavoro sarà in grado di gestire questo aumento di complessità dipende il destino di una generazione che oggi è al bivio tra essere lasciata diventare una ghosting generation ed essere aiutata a ricoprire un ruolo da protagonista nei processi di cambiamento e sviluppo del paese.

Meno nati, meno attivi?

L’indicatore che misura il rapporto tra anziani e popolazione in età attiva (indice di dipendenza degli anziani) è uno di quelli guardati con più attenzione dalle economie avanzate. Se tale rapporto aumenta significa che nella bilancia demografica il peso si sposta dal piatto dell’età in cui si fa crescere l’economia (e si fa funzionare il sistema di welfare) a quello dell’età in cui maggiormente si assorbono risorse pubbliche per assistenza sanitaria e pensioni. I dati ci dicono che il rapporto tra over 65 e popolazione tra i 20 e i 64 anni nella popolazione mondiale è salito da valori attorno al 10% nel 1960 al dato attuale superiore al 15%, con la prospettiva di arrivare oltre il 28% nel 2050 secondo lo scenario centrale delle Nazioni Unite (World Population Prospects 2019).

Smartworking: da ripiego a risorsa

La pandemia ci ha collocati in una condizione di tempo sospeso. Molte cose che si potevano fare prima non sono più possibili. Molte altre che vorremmo, invece, organizzare in modo diverso non sono ancora pienamente praticabili. Già, però, prima dell’emergenza sanitaria si discuteva del fatto che l’entrata nel nuovo millennio ci collocava tra un “non più” da lasciare nel Novecento e un “non ancora” coerente con le trasformazioni in atto ma non facile da riconoscere, far emergere nel modo migliore e consolidarsi.

Un’anomalia da correggere con il piano di rilancio

L’Italia di inizio 2022 è uno dei paesi in Europa con più debole presenza delle nuove generazioni nei luoghi in cui si è messi nelle condizioni di contribuire alla crescita e allo sviluppo economico. Ma anche con meno giovani presenti nelle classi scolastiche fino a completare il percorso di istruzione secondaria di secondo grado, oltre che nelle aule universitarie fino a raggiungere con successo la laurea o un titolo di formazione terziaria professionalizzante (fornita dagli Istituti Tecnici Superiori).

Giovani: Italia, la peggiore in Europa

Esiste un’ampia variabilità in Europa di incidenza dei NEET (i giovani non occupati e non inclusi in alcun percorso formativo). All’estremo inferiore troviamo i Paesi Bassi con un valore pari all’8,2 percento nella fascia tra i 20 e i 34 anni, mentre a quello superiore è saldamente assestata l’Italia con il 29,4 percento. I giovani italiani presentano, quindi, un rischio di trovarsi nella condizione di NEET pari a 3,6 volte rispetto ai coetanei olandesi. A mettere in luce questo divario è il report Eurostat “Statistics on young people neither in employment nor in education or training” pubblicato online a giugno 2021 (con dati aggiornati al 2020).