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Giovani che ci provano

C’è stato un periodo in cui l’Italia cresceva assieme alle nuove generazioni. E’ accaduto nei primi decenni del secondo dopoguerra, all’epoca del boom economico e del baby boom. Una fase della nostra storia in cui il Paese era ricco soprattutto di giovani, carichi di energia da spendere con fiducia per costruire un domani migliore e con nuovi spazi e opportunità per provarci. Non mancavano le difficoltà e le contraddizioni, ma valeva molto di più la scommessa su ciò che si poteva ottenere uscendo dalla casa dei genitori che la promessa di protezione nella famiglia di origine. Giovani generazioni lanciate dal Paese all’attacco di un futuro da costruire e non schiacciate in difesa dai rischi del presente. La preoccupazione principale non era per ciò che del passato andava perso ma per il nuovo ancora da generare e costruire.

Il necessario antidoto. Politica deludente, giovani in difesa

Le elezioni mettono i cittadini davanti a due scelte. La prima è se partecipare o meno al voto. La seconda, nel caso si decida di recarsi al seggio, è la scelta della preferenza da attribuire ai vari simboli proposti sulla scheda e, quando si può e purtroppo non sempre si può, alle persone candidate in quella stessa lista. Se cresce la sfiducia verso la capacità della politica di migliorare il contesto in cui si vive e nel gestire positivamente i cambiamenti in corso, tendono ad aumentare sia l’astensione sia il voto “contro”. Ecco allora che al secondo turno delle amministrative di domenica più di un avente diritto su due ha deciso di non contribuire a determinare l’esito del ballottaggio nella propria città. Un chiaro segnale della bassa convinzione di tanti cittadini verso un’offerta politica che li scaccia da sé e dalla partecipazione.

Giovani e lavoro. Ciò che l’Italia ancora non dà

Perché è importante occuparsi della condizione dei giovani? Varie sono le risposte che si possono dare a questa domanda. Quella più comune fa riferimento agli ostacoli che incontrano i giovani nel compiere con successo il percorso di transizione alla vita adulta, con rischio di impoverimento materiale, frustrazione psicologica, disagio sociale. Si tratta di una preoccupazione cresciuta nel tempo, accentuata da una crisi economica che ha colpito tutti, ma con effetti particolarmente negativi sui giovani italiani. Anche i dati più recenti mostrano come l’occupazione degli under 35 trovi maggior difficoltà a raggiungere i livelli precedenti alla recessione.

Andarsene deve essere una scelta, non un obbligo

Tra il Made in Italy che piazziamo bene all’estero ci sono sempre più anche gli italiani stessi, spesso di buona qualità. L’espatrio dal Belpaese è, del resto, un fenomeno sempre più ampio ma anche sempre più complesso e articolato. Va prima di tutto considerato che la facilità di spostamento e di accesso a opportunità virtualmente presenti in qualsiasi altro paese del mondo, rendono oggi molto più comune e praticabile la scelta di viaggiare per svago, studio e lavoro.

La forza debole dei giovani nell’Italia dell’anti-miracolo economico

L’Italia dei primi decenni del dopoguerra, quella del miracolo economico, era ricca soprattutto di giovani, a loro volta pieni di energia da convogliare verso un futuro di maggior benessere. Al censimento del 1951 la metà dei residenti nello stivale aveva meno di 30 anni, un valore analogo a quello della popolazione mondiale di oggi.

Tali giovani facevano parte di una generazione che partiva da modeste condizioni economiche, ma con grande desiderio di migliorare e con spazi aperti per provarci. Una generazione che si è trovata ad aggiustare al rialzo le proprie aspettative con corrispondente aumento della mobilità sociale. Non c’erano diritti o posizioni da difendere, ma nuovo benessere da costruire. Era molto più la promessa di ciò che si poteva ottenere uscendo dalla casa dei genitori che la certezza di ciò che si aveva rimanendo. Una generazione che oltre al boom economico ha messo le basi anche del boom demografico.

Quel mondo appare oggi molto lontano, non solo in senso temporale ma anche rispetto alle condizioni in cui nascono e crescono le nuove generazioni. Oggi i giovani sono di meno, partono da condizioni di benessere maggiori rispetto alle generazioni passate, ma trovano meno spazio, soprattutto in Italia, per essere soggetti attivi di nuova crescita.

Un nodo gordiano blocca il paese

Dagli anni ottanta in poi siamo diventati un paese che si è difeso dai cambiamenti anziché coglierne le opportunità (Rosina e Sorgi 2017). Questo trincerarsi in difesa, collettivo e individuale, è ben rappresentato da due indicatori che si sono sistematicamente posizionati oltre la soglia di guardia, facendoci così entrare in una spirale di bassa crescita e alti squilibri generazionali e sociali. Si tratta del prodotto interno lordo, inabissato sotto il debito pubblico, e la consistenza demografica della generazione dei figli, precipitatasotto quella dei genitori. Come eredità di questo modello di sviluppo bloccato ci troviamo ora ad avere una delle combinazioni peggiori al mondo tra alto debito pubblico e bassa presenza della nuove generazioni nei processi di produzione di nuova ricchezza.

Il Paese è come bloccato da un nodo gordiano che soffoca la presenza dei giovani nel mondo del lavoro, depotenziandola molto più della semplice riduzione prodotta dalla denatalità e dal conseguente “degiovanimento” della popolazione. I dati del Rapporto Istat 2016 mostrano come la fascia 15-34 abbia perso circa 2 milioni di occupati tra il 2008 e il 2015 (-28,1%). Nella prima metà degli anni Novanta il tasso di occupazione degli uomini di 30-34 anni era superiore al 90%, mentre oggi supera di poco il 75%, Viceversa, sono invece in forte crescita gli occupati over 50. Insomma, mentre l’occupazione in età matura si sta avvicinando alla media europea, quella giovanile ne rimane drammaticamente lontana.

Squilibri generazionali e mercato del lavoro

Confrontiamoci un attimo con la Francia, un paese che ha un numero di abitanti simile al nostro. Mentre i francesi hanno mantenuto quasi costante nel tempo il contingente delle nascite, attorno a 800 mila per anno, noi siamo progressivamente scesi fino a meno di 500 mila (Istat, 2017). Se confrontiamo la popolazione degli over 35 tra i due paesi siamo un po’ di più noi, ma sotto i 35 anni il rapporto si inverte nettamente: nella fascia 25-34 risultiamo essere oltre un milione in meno e in quella 15-24 ben un milione e mezzo in meno.

Il divario aumenta se consideriamo il numero di giovani occupati. Tale valore era, nel 2006, pari a 2,2 milioni in Francia e 1,5 milioni in Italia (http://ec.europa.eu/eurostat/web/lfs/data). A dieci anni di distanza ne troviamo oltre 2 milioni nel primo paese e meno di 1 milione nel secondo. Nello stesso periodo, tra i 55 e i 64 anni la Francia è salita da 2,7 a 3,9 milioni di occupati, e l’Italia da 2,3 a 3,7 milioni. Si è quindi ampliato il divario sui giovani occupati, mentre si è ridotto quello in età matura.

Va poi considerato che la Francia non è uno dei paesi più virtuosi sul lato dell’occupazione giovanile. Il nostro tasso è pari al 16%, quello francese al 27%, quello medio europeo al 33%. La Francia però recupera più avanti: in età 25-29 il tasso di occupazione per tale paese e per la media Ue-28 è attorno al 73% mentre per l’Italia è 20 punti sotto (circa 53%).

Squilibri generazionali e diseguaglianze sociali

L’Italia povera di giovani si trova, inoltre, anche con giovani sempre più poveri. I dati Istat mostrano che nel 2015 la condizione di povertà assoluta delle famiglie con persona di riferimento sotto ai 35 anni è diventata più frequente (10,2%), mentre invece è scesa al 4% per le famiglie di anziani. In coerenza con questi squilibri crescenti è rallentata la formazione di nuovi nuclei familiari ed è diminuita la natalità. Non è un caso se siamo una delle società avanzate con più bassa formazione di nuclei familiari prima dei 30 anni e, conseguentemente, con fecondità più bassa prima di tale età (Eurostat 2015).

Una questione politica

Senza un “Piano Paese” che destini il massimo impegno e le maggiori risorse a dare consistenza e forza alla nuove generazioni, difficilmente potremo tornare a creare più ricchezza e benessere di quanto ne consumiamo.

Nessun governo sinora è riuscito a sciogliere davvero il nodo gordiano che blocca l’accesso dei giovani italiani al futuro individuale e collettivo desiderato. Forse anche perché tale nodo si è nel tempo intrecciato, sempre di più, con timori di perdere vecchie sicurezze, difesa di interessi di parte, posizioni di rendita, privilegi acquisiti.

Narra la leggenda che Alessandro Magno – per liberarsi dai vincoli del passato e lanciarsi verso nuove conquiste – abbia alla fine deciso di dare un taglio netto al nodo. Stiamo ancora aspettando un Governo con lo stesso coraggio.