La demografia italiana, un po’ come la costruzione della Torre di Pisa, via via che evolve nel corso di questo secolo rischia di andare verso uno sbilanciamento sempre meno sostenibile. Due soluzioni sono possibili. La prima impone la rinuncia di un percorso solido di crescita, con relativa condanna all’Italia del XXI a rimanere un progetto incompiuto. La seconda, analogamente all’operazione fatta a su tempo con la Torre di Pisa, richiede di reimpostare il progetto di sviluppo del paese seguendo una curvatura opposta alla pendenza. I punti dell’infrastruttura demografica da cui partire adottando questa seconda soluzione sono quelli delle generazioni di chi ha oggi tra i 45 e i 50 anni e di chi ha tra i 20 e i 25 anni.
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All’Italia resta un decennio per tornare a 500mila nascite. Poi sarà troppo tardi
Se le nascite in Italia proseguissero il percorso di diminuzione con il ritmo osservato nel decennio scorso (a cui si è poi aggiunta l’incertezza della pandemia) ci troveremmo ad entrare nella seconda metà di questo secolo con reparti di maternità del tutto vuoti. Lo scenario di zero nati nel 2050 difficilmente verrà effettivamente osservato – le dinamiche reali sono più complesse di una semplice estrapolazione – i dati però ci dicono che alto (oltre il livello di guardia) è diventato il rischio di un processo di declino continuo della natalità.
I giovani ben formati in Italia sono troppo pochi. E quei pochi vanno all’estero
L’Italia rischia di non riuscire a rilanciare dopo la crisi sanitaria la propria economia e alimentare i propri processi di sviluppo, cogliendo le opportunità della transizione verde e digitale, soprattutto per carenza di energia. Da troppo tempo da noi risulta, infatti, scarsa, dispersa, utilizzata in modo poco efficiente la risorsa più importante e strategica per far funzionare un Paese e mantenerlo competitivo a livello internazionale. Questa risorsa energetica è costituita dai giovani ben preparati e qualificati.
È scarsa perché di giovani ben formati ne abbiamo meno rispetto agli altri paesi con cui ci confrontiamo. L’incidenza degli under 30 sulla popolazione italiana non arriva al 28% ed è il valore più basso in Europa. Tra le più basse è anche la quota di laureati in età 30-34 anni: sotto il 27% contro una media europea oltre il 40%. È energia dispersa perché presentiamo un saldo negativo cresciuto nel tempo tra giovani con alte qualifiche che vanno a cercare migliori opportunità all’estero rispetto a quelli che attraiamo, come ben documentato nel Rapporto Bes 2021.
L’utilizzo poco efficiente della risorsa giovani è misurato dalla percentuale di Neet: nella fascia 25-29 coloro che non studiano e non lavorano sono quasi il 30% ed è, di nuovo, il dato peggiore tra i paesi membri dell’Unione europea, con un divario che non si è ridotto nel tempo ed è anzi ulteriormente peggiorato con l’impatto della pandemia. La bassa valorizzazione in Italia del capitale umano delle nuove generazioni porta inoltre ad un maggior rischio di sottoccupazione e di trovarsi nella condizione di working poor. Tutto questo ha poi ricadute sulla realizzazione dei progetti di vita, come testimonia l’età media al primo figlio che risulta la più tardiva in Europa.
Il processo di miglioramento della condizione delle nuove generazioni non parte però da zero. Per risollevare l’economia italiana e mettere le basi di una nuova fase di sviluppo con nuove opportunità per i giovani sono disponibili finanziamenti di entità del tutto inedita, ottenuti dai governi precedenti attraverso il fondo Next Generation Eu. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che contiene i progetti da finanziare attingendo da tale fondo ha ottenuto l’anno scorso il via libera dalla Commissione europea. Alla nuova legislatura e, quindi, al nuovo Governo è affidato il compito cruciale di una concreta ed efficace realizzazione, visto che i finanziamenti concessi devono essere utilizzati entro il 2026.
Dai servizi per l’infanzia passa il rilancio del Paese
L’Italia soffre di due grandi problemi in misura maggiore rispetto agli altri paesi con cui si confronta. Il primo riguarda la quantità delle nuove generazioni, il secondo la qualità.
Gli appelli ai giovani e l’abitudine di dimenticarli presto
Se la politica non si interessa dei giovani è difficile che i giovani si interessino della politica. Ma se i giovani non si occupano della politica, è difficile che il paese possa cambiare e investire in modo più solido sul proprio futuro.