L’Italia è un paese in affanno, prostrato dalla crisi, con troppi freni che ne imbrigliano le energie e ne comprimono la vitalità. Uno dei riscontri più evidenti di questa depressione economica e sociale è offerto dall’andamento delle nascite. A metà degli anni Sessanta nascevano un milione di bambini, oggi con fatica arriviamo a farne la metà. Dopo il record negativo di 503 mila nascite nel 2014, immigrati compresi, i dati non definitivi del 2015 sembrano ancora peggiori. Anche Milano evidenzia un andamento delle nascite che dopo un picco di oltre 12 mila e 500 raggiunto negli anni precedenti la crisi scende attorno alle 11 mila e 500. Quest’ultimo dato, a differenza della situazione nazionale, non è però un record negativo, risultando comunque di circa 2 mila unità superiore rispetto ai valori di metà anni Novanta. Questa differenza tra andamento nazionale e cittadino la si vede anche nella composizione per età della popolazione. Mentre nella popolazione italiana la consistenza demografica di chi ha meno di 5 anni è più bassa rispetto a qualsiasi altra fascia di età dai 70 in giù, viceversa, tra i residenti a Milano, il peso più ridotto corrisponde a chi ha oggi tra i 15 e i 20 anni.
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Quei morti di troppo nel 2015
Nei primi otto mesi del 2015 si sono registrati circa 45 mila decessi in più rispetto all’anno precedente. Un dato che ha suscitato molto scalpore sui mass media. Ma come dobbiamo interpretarlo?
Il conteggio continuativo del numero dei decessi, attraverso un apposito registro, inizia nelle città italiane del medioevo. L’esigenza, prima ancora che per questioni amministrative, nasce dalla necessità di identificare per tempo la possibile diffusione di una epidemia. Se il numero di morti giornalieri, settimanali, mensili, rimaneva pressoché costante, si poteva rimanere relativamente tranquilli. Se invece c’erano i segnali evidenti di una crescita era il caso di predisporre velocemente misure di profilassi e contenimento del contagio. La mortalità in passato era elevatissima anche nei periodi di “normalità” ma le epidemie ricorrenti potevano avere effetti devastanti sulla struttura demografica, sull’organizzazione sociale e sul sistema economico.
L’abbondanza di nonni da trasformare in ricchezza sociale
Siamo entrati nell’era dell’abbondanza di nonni. Chi è oggi anziano è nato in un mondo ricco di fratelli e cugini, era quindi ampia soprattutto la dimensione orizzontale delle relazioni familiari. Nel corso di tre generazioni tale dimensione si è fortemente ridotta, mentre si sono estese e infittite le relazioni verticali. E’, infatti, notevolmente aumentata non solo la probabilità di trovare tutti i nonni in vita al momento della nascita, ma anche la possibilità di attivare un lungo e intenso rapporto con qualcuno di essi fin oltre la propria maggiore età.
Ridare peso alle nuove generazioni in un’Italia che invecchia
Questo slancio l’Italia sembra averlo perso da tempo. I dati che lo confermano sono molti, ma ce ne sono tre eclatanti: l’enorme debito pubblico scaricato sulle nuove generazioni, il deterioramento delle prospettive occupazionali giovanili, la riduzione delle nascite in contrapposizione alla crescita esuberante della popolazione anziana. Difficile trovare una combinazione così accentuata di questi tre aspetti in un altro paese sviluppato, con conseguenze negative vincolanti rispetto alla produzione di ricchezza e benessere.
La generazione che ha avuto meno e dato di più all’Italia
I senior di oggi appartengono alla prima generazione nata nel secondo dopoguerra. Sono i “baby boomers”: cresciuti in un Paese che con essi è entrato a pieno titolo nel club esclusivo delle società moderne, economicamente avanzate e demograficamente mature. Per capire però appieno le trasformazioni dell’Italia in cui hanno vissuto e vivono gli attuali senior è utile partire dalla generazione che li ha preceduti, quella dei loro genitori, nati tra la fine della Grande Guerra e i primi anni Trenta. Una generazione che ha attraversato in età cruciali alcuni snodi fondamentali del XX secolo e che con le sue scelte ha impostato il ritmo di marcia delle coorti successive.