Il Mezzogiorno ha tradizionalmente rappresentato una riserva demografica per l’Italia e, nei decenni passati, la fecondità, pur declinando, è rimasta al di sopra della media nazionale. A partire dal 1995 tale tendenza ha cominciato a invertirsi, fino al sorpasso avvenuto nel 2006, quando per la prima volta la fecondità al Nord ha superato quella al Sud. Le dinamiche che nel Mezzogiorno hanno condotto a questo rovesciamento vanno dalla minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro alle difficoltà dei giovani a trovare impiego e, di conseguenza, a metter su famiglia, alla necessità sempre più frequente di cercare fortuna all’estero. Bassa natalità e forte mobilità delle nuove generazioni sono alla base del fenomeno del degiovanimento, che rischia di avvitare il Meridione in una spirale senza ritorno. Per invertire la rotta prima che sia tardi, è necessario promuovere un modello sociale che rimetta al centro le persone.
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La condizione giovanile in Italia
INTRODUZIONE: GIOVANI NEL LABIRINTO
Alessandro Rosina
Nel Rapporto giovani 2013 abbiamo raccontato la difficile condizione degli under 30 italiani fornendo un ritratto che, a partire dai dati di una indagine ampia e dettagliata, andava oltre gli usuali indicatori delle statistiche ufficiali. Con questo volume siamo al secondo anno di quello che ambisce ad essere un osservatorio continuo che sonda, analizza e racconta la realtà complessa e dinamica dei giovani sia nella dimensione sia oggettiva che soggettiva.
Il mondo delle nuove generazioni è certo molto più ampio e ricco rispetto al loro tormentato rapporto con il lavoro e al benessere economico. Il ritratto fornito nei vari capitoli di questo volume lo conferma. E’ però anche vero che in questo frangente storico le preoccupazioni maggiori, con ripercussioni anche negli altri ambiti di vita, derivano dal non trovarsi con solido materiale su cui costruire le fondamenta del proprio futuro.
Meno promesse e più fatti sul lavoro dei giovani
Il tasso di disoccupazione giovanile, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, è salito al 43,3 per cento. Si tratta dei valori peggiori mai incontrati dalle generazioni del secondo dopoguerra. È bene precisare, visto che molta confusione esiste su questo tema, che il dato si riduce se teniamo conto del fatto che molti a quell’età sono studenti, ma non migliora in senso relativo.
La circolazione inceppata dei giovani talenti italiani
La mobilità dei talenti è naturale e positiva. Il problema dell’Italia non sono quindi, di per sé, i tanti di valore che se ne vanno, ma i pochi che fanno il percorso inverso. Se alla forza di uscita ne corrispondesse una almeno altrettanto intensa in entrata, a beneficiarne sarebbe, a livello macro, il sistema paese, che incrementerebbe la dotazione di intelligenze ed energie che lo rendono aperto al mondo e competitivo, e a livello micro, i giovani stessi che amplierebbero le opzioni possibili coniugando la scelta di andare con l’opportunità di tornare con successo.
Per approfondire: Rosina A. (2014), “La circolazione inceppata dei giovani talenti italiani”, in Rapporto italiani nel mondo 2014, Fondazione Migrantes, pp. 280-288,Tau editrice.
I giovani senza lavoro e il futuro che si meritano
Le promesse e i fatti
Insomma, dai politici non sono mancate le promesse di miglioramento della condizione delle nuove generazioni. A mancare continuano però ad essere i fatti, a giudicare dalla persistente difficoltà dei giovani sia nel trovare e creare lavoro, che, conseguentemente, nell’avviare un proprio progetto di vita autonoma.
Mentre nel resto d’Europa a lavorare è la gran parte di chi ha tra i 18 e i 29 anni, da noi è solo una minoranza a farlo: il tasso di occupazione era il 48% nel 2005 ed è sceso nel 2012 sotto il 40%. Anche il tasso maschile si è inabissato sotto la soglia del 50% e si trova attualmente vicino al 45% (al 33% quello femminile). Oltre 10 punti sotto la media europea.
Si accentua quindi ulteriormente il paradosso di un’Italia che non solo ha meno giovani rispetto agli altri paesi avanzati, ma li rende anche meno attivi e partecipativi nella società e nel mercato del lavoro (di conseguenza più passivamente dipendenti economicamente dai genitori).