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Da Expo a Expat: la Milano permanentemente aperta al mondo

Bello vedere che ora in molti ci credono. Expo può essere un successo e Milano può trarne grande beneficio. Dopo la buona partenza l’atteggiamento di molti critici e scettici della prima ora appare in sensibile mutamento. Non che siano diventati tutti ottimisti ma si sono drasticamente ridotti coloro che danno apertamente per scontato che sia stato un errore farla e che alla fine il bilancio sarà negativo. Persino sul sito lavoce.info è uscito un editoriale che senza negare i giudizi negativi del passato – alcuni fondati ma altri eccessivamente sprezzanti – compie una ampia virata verso l’incoraggiamento ad andare avanti bene. Archiviate le stroncature senza appello si invita saggiamente a non tifare contro, a non opporsi ma a contribuire tutti all’impresa. L’Expo ha certamente profonde e durature ricadute che non possono essere limitate ad un banale esercizio contabile, è quindi un bene che siano in crescita gli economisti in grado di riconoscere che esiste anche un più profondo e duraturo valore culturale dell’evento.

Il vero successo di Expo lo decideranno i bambini

Chissà se con Expo riusciremo a ritrovare un po’ di orgoglio italiano. L’orgoglio che deriva dalla consapevolezza di vivere in un contesto unico e possedere doti non facilmente imitabili. Al contrario di altri popoli, siamo molto bravi a riconoscere e a sottolineare i nostri limiti, ma molto meno a valorizzare quello che di buono abbiamo e siamo. Non si tratta di nascondere i difetti ma di dare il giusto riconoscimento e incoraggiamento agli aspetti positivi e di metterli nella luce giusta.

Expat, la generazione delle opportunità

Si sono spesi fiumi di inchiostro e fiato da riempirci mongolfiere, sui giovani che se ne vanno dall’Italia. Peccato che quell’inchiostro e quel fiato, in molti casi, siano troppo spesso spesi male. Per piangerci addosso, per maledire un Paese che non sa valorizzare i propri talenti, per puntare il dito contro chi – politici, imprenditori, insegnanti, genitori – quei talenti (nell’accezione più ampia) non è riuscito a valorizzarli. Nella retorica dei ”cervelli in fuga” è implicito il senso di una duplice sconfitta. Di chi se ne va, perché è stato costretto a farlo. Di chi l’ha lasciato partire, per i supposti costi mal investiti nell’educazione di chi parte.
È una retorica che non ci piace e che vogliamo decostruire, mattone dopo mattone. In primo luogo perché è depressiva. Soprattutto, però, perché è sbagliata. Basterebbe guardare la realtà senza farsi inquinare la vista dall’autocommiserazione per capire che non è così e che la retorica della “fuga” è limitativa rispetto alla portata e alle implicazioni dei grandi processi in atto nel mondo che vedono protagoniste le nuove generazioni.

Dalla crisi immobiliare si esce con una nuova idea dell’abitare

Casa e lavoro sono da sempre, ma ancor più oggi, le preoccupazioni principali dei giovani italiani. Su entrambi tali obiettivi sono tramontate le certezze che hanno caratterizzato il percorso di entrata nella vita adulta dei loro genitori. Attraverso il lavoro fisso e l’acquisto di una propria casa venivano poste solide basi attorno a cui costruire la propria vita. Completava il quadro un welfare pubblico ancora generoso e in grado di rispondere a gran parte delle esigenze di protezione sociale. L’Italia cresceva più di oggi e per allargare ancor più la coperta si poteva espandere il debito pubblico. Ora quel mondo non esiste più. Per un po’ si è provato a far finta esistesse ancora, ma con l’entrata nel nuovo secolo la discrasia con la realtà è diventata sempre più evidente. Non è stata tanto la crisi a dare il colpo definitivo, ma la sua durata. Solo infatti con l’entrata nella seconda decade del XXI secolo possiamo dire che l’Italia è uscita dal Novecento, senza però avere ancora ben chiaro dove andare e come arrivarci.

Un patrimonio da valorizzare per tornare a crescere

Le nuove generazioni sono sempre state protagoniste delle fasi di crescita e cambiamento. Da qualche tempo in Italia sembrano però aver dismesso tale funzione. Le loro prerogative si sono ridotte e, non a caso, il paese ha nel contempo ridotto la sua capacità di creare ricchezza e benessere. Le difficoltà dei giovani vanno infatti considerate allo stesso tempo causa e conseguenza dello scarso dinamismo economico e sociale dell’Italia. Va però anche messo in evidenza che questo arretramento, sia del ruolo dei giovani che della crescita relativa del paese, si è prodotto assieme alla riduzione del peso demografico delle nuove generazioni. Questo aspetto è centrale per le sfide che abbiamo di fronte e va quindi ancor più sottolineato. I giovani sono sempre stati una risorsa ricca e abbondante nella storia dell’uomo. Da qualche decennio questo non è più vero. In particolare l’Italia, dopo decenni di denatalità, si trova ora particolarmente povera di persone nella  verde età. Il paradosso che vive oggi il nostro paese è che al “degiovanimento” quantitativo delle nuove generazioni non ha corrisposto un potenziamento qualitativo.