La partecipazione al voto dei giovani è considerata importante, al di là dei risultati finali sulla composizione del nuovo parlamento dopo il trauma della Brexit, come segnale di quanto il progetto europeo sia ancora vivo e possa essere rilanciato, migliorato e proiettato verso il futuro.
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Le attese dell’Europa e i voti (e i volti) dei giovani
Un’Europa divisa e debole non aiuta a costruire un futuro migliore per le nuove generazioni. Questa è una consapevolezza ben presente nei giovani italiani. Del resto i dati demografici ci dicono che siamo nel secolo di maggior riduzione del peso di questo continente nel mondo. La popolazione europea sul totale del pianeta ha toccato il punto più elevato nel XX secolo rispetto a tutto il millennio precedente, salendo sopra il 25%. Ma già all’entrata di questo millennio si trovava scesa sotto il 15%, livello analogo a quello dei suoi secoli più bui. Si trova oggi sotto il 10 per cento, con in corso un processo di lenta riduzione conseguenza della persistente denatalità. L’Italia era il decimo Paese più popolato al mondo nel 1950 e ora non entra nei primi trenta. La Germania, il Paese più popoloso dell’Unione, è oggi al sedicesimo posto ed è prevista scendere al venticinquesimo verso la metà del secolo. Eppure l’Europa unita manterrebbe il maggior peso del mondo occidentale, superiore agli Stati Uniti, inferiore solo alla Cina e all’India.
Questi numeri è utile tenerli sempre ben presenti perché aiutano a mettere assieme i due elementi più forti che abbiamo a disposizione nel delineare il nostro futuro. Il primo è, appunto, la demografia che consente di anticipare in modo affidabile alcuni parametri rilevanti degli scenari a cui andiamo incontro. Il secondo, ancor più importante e informativo su quello che saremo a metà di questo secolo e nella sua seconda parte, è ciò che noi desideriamo collettivamente per il nostro futuro in coerenza con le grandi trasformazioni in atto. Quello che i giovani vorrebbero non è, allora, il fallimento del progetto europeo ma una sua piena evoluzione verso gli Stati Uniti d’Europa. Vorrebbero, ancor più, essere messi nella condizione di sentirsi e rendersi protagonisti di un vero rilancio di tale progetto. Il “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo, tra i vari temi monitorati e analizzati in questi anni, ha rivolto una particolare attenzione all’atteggiamento dei giovani verso l’Europa. Ha messo in luce i limiti, le contraddizioni e le frustrazioni su come il progetto europeo è stato sinora inteso e interpretato. Ai giovani non piace l’Europa che pone come priorità i parametri finanziari e i vincoli burocratici. Non hanno trovato convincente il modo in cui è stata affrontata la crisi economica. Soprattutto non hanno ben percepito gli effetti di un’azione efficace dell’Unione Europea sul miglioramento delle condizioni delle nuove generazioni all’interno dei vari Paesi membri. Questo vale in particolare in Italia, dove continuiamo a registrare il record di under 35 che vorrebbero lavorare, ma che non riescono a trovare adeguato inserimento attivo nei processi di crescita del Paese.
La responsabilità maggiore viene attribuita, in varia misura, ai governi italiani che si sono succeduti negli ultimi vent’anni. I dati di un’indagine di approfondimento del Rapporto giovani condotta a febbraio di quest’anno, mostrano come la fiducia nell’attuale Governo italiano sia pari al 36,7% tra i giovani (età 18-30 anni), contro il 38,7% su tutto il campione intervistato (18-75 anni). È interessante notare, inoltre, come tra i giovani il dato sia più favorevole verso l’Unione Europea (44,3%) mentre risulti meno positivo tra la popolazione complessiva (33,2%). Ma la fiducia scende molto soprattutto tra i giovani con titolo di studio più basso e in condizioni economiche più svantaggiate, ovvero tra coloro che rischiano di rimanere ai margini dei grandi processi di cambiamento di questo secolo.
Questi dati suggeriscono, in particolare, che va spostato verso l’alto l’incontro tra domanda e offerta di Europa. I giovani chiedono un’Europa migliore, rinnovata e più lungimirante. Se nel XX secolo il progetto europeo è stato inteso soprattutto come vincolo a stare assieme per costruire un presente libero dalle divisioni e dai rischi di conflitto del passato, nel XXI deve trovare nuove ragioni, più orientate al futuro e alle opportunità da costruire con le nuove generazioni.
L’Europa unita può dare ricchezza ai processi di cambiamento che interessano tutto il pianeta, ma deve farlo con un suo ruolo distintivo. Sempre i dati del Rapporto giovani ci dicono che per i giovani italiani l’identità europea è soprattutto una combinazione di cultura, libertà e centralità data alla persona. Ma questi valori devono poter essere declinati in modo vincente nei confronti delle sfide che pone questo secolo, su come cambiano le forme di partecipazione democratica, sul governo dei flussi migratori, sulle nuove disuguaglianze, sull’impatto della rivoluzione digitale, sulla cura del pianeta e lo sviluppo sostenibile. Si tratta di temi che interessano, e in parte inquietano, fortemente le nuove generazioni e che devono trovare la giusta collocazione all’interno di un progetto solido e credibile che evolva verso gli Stati Uniti d’Europa. Questo è il dibattito di cui oggi abbiamo bisogno e questa è la prospettiva che dobbiamo incoraggiare con il voto del 26 maggio.
La sfida dei ragazzi per salvare il pianeta
ROMA. C’è un tema, nei tempi confusi e incerti in cui viviamo, che sembra in grado di catturare un interesse trasversale delle nuove generazioni e muoverle verso un impegno di miglioramento collettivo e senza confini: è quello della salvaguardia del patrimonio naturale del pianeta. Esiste un ampio convincimento del valore comune che esso rappresenta ma anche dei rischi legati all’impatto dei cambiamenti climatici, in larga parte prodotti dai nostri comportamenti.
Il Paese che dimentica i giovani
C’è una crisi che precede la grande recessione, che la congiuntura negativa ha inasprito e che prosegue anche dopo, è quella che investe le nuove generazioni italiane. Una crisi che più che a fattori contingenti esterni va attribuita a persistenti limiti strutturali (e culturali) interni.
Un’alleanza per guidare la Nave Italia
Caro Direttore,
la nave Italia sta viaggiando nella direzione sbagliata. Trasformare la rabbia diffusa in odio può dare la sensazione di alleviare i problemi. Affermare che l’Italia può fregarsene delle compatibilità internazionali è un inganno che sarà pagato caro. Immaginare che la crescita si ottenga semplicemente aumentando il debito e alimentando i consumi è una illusione pericolosa.
Più presto il paese uscirà da questa fase onirica, meglio sarà. L’Italia ha bisogno, anzi l’opportunità, di cominciare a scrivere una pagina di storia nuova.
Ma per andare al di là di questa stagione triste è necessario avere una lettura diversa.
Sono tre le piste principali su cui lavorare.
Crescita economica e sviluppo sociale devono tornare a marciare insieme. Per navigare in mare aperto non possiamo più tollerare chi distrugge valore: sperperando denaro pubblico, distruggendo l’ambiente, sfruttando il lavoro, non pagando le tasse. Attorno a politiche nuove abbiamo al contrario bisogno di alleare tutti coloro che contribuiscono alla creazione del ben-essere e ben-vivere comune. Se vogliamo trasformare la rabbia in energia, la nostra convivenza e le nostre istituzioni vanno ricostruite su un nuovo scambio “contributivo e sostenibile” cosi da ridisegnare completa-mente i rapporti cittadino-stato e lavoro-impresa. Per mettere il passato alle spalle, la vera svolta è passare dalla irresponsabilità diffusa alla partecipazione costruttiva. Non dobbiamo aver paura di darci traguardi ambiziosi: aspirare ad una società dove ciascuno (incluso chi oggi é ai margini) sia messo in condizione di dare il proprio contributo per migliorare l’esistente, sentendosene responsabile
Il valore va prima di tutto creato e poi redistribuito, in una logica dinamica e virtuosa che attribuisca alla redistribuzione una funzione di investimento mirato sia alla riduzione delle diseguaglianze che alla produzione di nuovo valore e maggior benessere. In un paese che invecchia il rapporto tra tradizione e innovazione va ristabilito investendo nei giovani e nelle loro potenzialità, senza relegarli in panchina con politiche paternalistiche e assistenzialistiche. Solo ciò che migliora oggi la capacità di essere e fare delle nuove generazioni porta ad un futuro comune migliore. Non si esce dalla crisi semplicemente immaginando che l’economia sia una macchina da rendere efficiente. La sfida che abbiamo davanti è piuttosto quella di realizzare un modello di crescita sostenibile capace di farci fare un passo in avanti sul piano culturale e spirituale. E di raccordare meglio mezzi e fini, efficienza e inclusione, innovazione e umanizzazione, individuo e collettività realizzando una crescita di qualità, attributo che non è dei sistemi ma delle persone e delle comunità. Per questo non ci sarà nessuna nuova stagione senza mettere al centro la formazione, la scuola, il lavoro. Dove anche il welfare sia visto come investimento sociale, attivo e abilitante.
Lo scopo di questo intervento è quello di innescare processi e suscitare alleanze tra le tante forze positive che già operano nel paese. Forze, autonome dai partiti politici, dei mondi vitali dell’impegno sociale, educativo, civile, non che sono oggi disperse e che rischiano di finire sommerse dall’onda alta del populismo.
Non servono manifesti e cartelli politici, è venuto il momento di associare queste forze in uno sforzo comune. Serve un passo avanti per uscire dal “ricatto di breve termine”: tutto ci dice che i progetti umani con un orizzonte corto sono inefficaci e finiscono per essere dannose.
Invece che promesse mirabolanti o imperativi categorici, il paese a cui pensiamo lavora per unire visione e competenza, innovazione e inclusione, audacia e saggezza, sogno e concretezza.
Ricominciamo da qui. Insieme.
Mauro Magatti
Marco Bentivogli
Leonardo Becchetti
Alessandro Rosina