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Quei diritti dei ragazzi generano valori

La Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nasce assieme alla Convention on the Rights of the Child approvata il 20 novembre del 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Celebrarla ogni anno – ancor più in periodi particolari come questo – significa chiedersi non solo quali passi in avanti sono stati fatti per rispettare quanto scritto nella Convenzione, ma anche come ripensare il tipo di diritti da riconoscere alle nuove generazioni perché possano farsi interpreti positivi del proprio tempo. Se da un lato, sotto vari punti di vista, sono aumentate le opportunità rispetto alle generazioni precedenti, d’altro lato la complessità e il rapido cambiamento rendono più difficile mettere basi solide ai propri percorsi formativi, professionali e di vita.

Ma anche i modelli stessi, sociali ed economici, che orientano gli obiettivi, la misura e gli strumenti della produzione di benessere sono entrati in crisi. Un tema messo al centro dei lavori dell’evento The economy of Francesco che si sta tenendo in questi giorni. Questa incertezza è inoltre stata accentuata dall’impatto di quattro crisi che hanno segnato il percorso di crescita dei nati in questo secolo (la generazione Zeta) dall’infanzia fino alle soglie dell’età adulta. La prima crisi è quella che a partire dall’11 settembre 2001 ha accresciuto la percezione di insicurezza nel muoversi nel mondo e tra culture diverse.

La seconda è la Grande recessione del 2008-13, che ha reso ancor più chiara la difficoltà delle economie mature avanzate a crescere in coerenza con le sfide di questo secolo. La generazione Zeta europea è stata, con la Brexit, anche la prima a non crescere con l’idea di un processo comunitario che si rafforza e allarga. La quarta crisi è quella sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19. Gli attuali under 20 hanno nella loro biografia l’impatto combinato di questi grandi eventi che hanno cambiato il modo di vivere, di stare in relazione, di guardare il mondo e di operare al suo interno. In Italia l’incertezza è inoltre amplificata dalle carenze degli strumenti di welfare attivo che accentuano la dipendenza passiva dai genitori. Inoltre, i giovani attuali diventano adulti in uno dei Paesi con maggior peso di debito pubblico e carico di pensionati sulla popolazione attiva.

Ancor più che nel resto d’Europa, quindi, le possibilità di crescita e di sostenibilità sociale dell’Italia dipendono dalla formazione del capitale umano delle nuove generazioni e dalla capacità di piena valorizzazione all’interno del mondo del lavoro. Ma proprio questi sono i punti su cui presentiamo maggiore fragilità e che rischiano ora di essere maggiormente indeboliti dall’impatto della pandemia. «L’Atlante dell’infanzia a rischio 2020» pubblicato in questi giorni da Save the Children, aiuta in modo efficace a leggere tali fragilità e la loro distribuzione (territoriale e sociale) all’interno del nostro Paese.

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La crisi e il prezzo che i giovani sono chiamati a pagare

I giovani, in Europa e ancor più in Italia, sono ancora una volta chiamati a pagare i maggiori costi economici e sociali, nel breve e nel medio periodo, di una grave e profonda crisi. Se questo era il timore durante il periodo di lockdown di primavera, ora è di fatto una certezza. Lo testimoniano i dati sulla disoccupazione giovanile salita in Europa dal 14,9% poco prima della pandemia al 17,6% ad agosto 2020, ma arrivata già al 32,1% in Italia. Dati che evidenziano una situazione di maggior fragilità rispetto alla recessione iniziata del 2008. Allora il tasso di disoccupazione dei giovani partiva da valori poco superiori al 20%, arrivando a superare il 30% “solo” quattro anni dopo, nel 2012.

L’investimento migliore? Servizi per l’infanzia

Difficile trovare in Europa una combinazione peggiore della nostra su bassa fecondità, bassa presenza femminile nel mondo del lavoro, alto rischio di impoverimento dopo il secondo figlio. Se non bastasse, i primi dati sull’impatto della crisi causata dalla pandemia preannunciano un grave peggioramento su tutte queste dimensioni.

Non esiste una bacchetta magica, ma se vogliamo davvero invertire il percorso fuori rotta che da troppo tempo ci caratterizza, il miglior investimento sociale che possiamo oggi fare è sui servizi per la prima infanzia. Si tratta della misura maggiormente in grado di favorire i meccanismi che mettono in relazione sistemica virtuosa l’occupazione delle donne, la condizione economica delle famiglie, la realizzazione dei progetti di vita, lo sviluppo umano delle nuove generazioni, la riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali. I nidi hanno, infatti, una funzione cruciale, oltre che per la conciliazione tra lavoro e famiglia, anche (e ancor più) per lo sviluppo socio-educativo a partire dalla nascita. Se l’assegno unico-universale, approvato alla Camera, assume come destinatario il bambino, indipendentemente dalle caratteristiche dei genitori. Se il congedo di paternità obbligatorio risponde all’esigenza dei figli di poter beneficiare della presenza del padre nei primi giorni di vita. Continua invece a mancare un piano che metta al centro – attraverso servizi di qualità e in grado di raggiungere tutti – il “diritto di ogni bambino” di poter contare su una proposta educativa stimolante e qualificata fin dall’infanzia. Servono però impegni chiari e precisi in questa direzione. Come il riallineare tutte le regioni italiane, entro i prossimi tre anni, al target europeo del 33 percento di copertura della fascia 0-3, assieme alla progressiva riduzione dei costi per le famiglie. Prima tappa di un processo di convergenza – magari anche con la spinta di Next Generation Eu – con le migliori esperienza europee.

Il baricentro si sposta sul bambino come titolare del sostegno

La Legge di bilancio è vissuta, ogni anno, come un momento importante e delicato. Lo è ancor più quest’anno per i contenuti in sé e per il messaggio che la politica darà al Paese rispetto al momento che stiamo attraversando, alle urgenze in risposta alle difficoltà poste dalla pandemia e alle prospettive di rilancio della crescita.

L’Italia intrappolata nella crisi demografica, l’emergenza è la natalità

L’Italia si trova intrappolata da lungo tempo in una profonda crisi, più insidiosa di qualsiasi recessione economica o altro tipo di emergenza. Si tratta della crisi demografica. I dati sul bilancio demografico nazionale, appena pubblicati dall’Istat, certificano che nel 2019 le nascite sono precipitate a 420 mila.