La popolazione europea si è fermata e sta entrando in fase di declino. All’inizio del 2021 vivevano nell’Unione Europea poco meno di 450 milioni di persone. Si tratta di 312 mila in meno rispetto al 1° gennaio 2020. Il paese che ha contribuito maggiormente a tale riduzione è stata Italia (-384 mila). La popolazione del pianeta continua invece ad aumentare, pur a ritmi rallentati rispetto al secolo precedente e in modo molto differenziato al suo interno. Nella seconda metà del XXI secolo la spinta della crescita demografica mondiale, sempre più limitata al continente africano, andrà progressivamente ad esaurirsi. Nel frattempo la popolazione diventerà sempre più anziana, come conseguenza del declino delle nascite e dell’aumento della longevità. Gli over 65, che per tutta la storia dell’umanità fino alla fine nel millennio appena concluso avevano un peso demografico inferiore al 5 percento, entro il 2100 arriveranno ad essere circa il 22 percento, ovvero il valore che l’Italia ha già oggi.
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La maturazione politica di una generazione
E’ arrivata la generazione che salverà il mondo e nel caso non riesca a farlo ha ben chiaro a chi dare la colpa. Era annunciata da vari anni da segnali crescenti e sempre più forti. Ma l’evento Youth4Cimate che si è tenuto a fine settembre a Milano l’ha di fatto chiarito in modo definitivo. “We are unstoppable” ha affermato in modo deciso Greta Thumberg, che nel contrasto tra la sua fisicità e i toni dei suoi discorsi rappresenta perfettamente la Generazione Zeta, che dalla sua parte non ha la forza ma è fortemente convinta di aver ragione. Viene accolta dalle istituzioni quasi come fosse il capo di stato di una nazione di giovani che non ha confini ma che non vuole essere solo virtuale: sa scendere in strada e prendersi le piazze per dare concretezza al cambiamento. Da un lato le istituzioni del “mondo del bla bla bla” e dall’altro la “nazione del futuro adesso”. Mario Draghi dopo averla incontrata al Pre-Cop26 di Milano ha affermato ai giornalisti che “con Greta e andata benissimo”. E’ curioso vedere i grandi della terra, dopo essere stati ammoniti in modo sferzante, affrettarsi a dire che condividono l’accusa che ad essi viene rivolta. Di fondo c’è una sincera condivisione del fatto che, come afferma il premier italiano, si tratta della “generazione più minacciata dai cambiamenti climatici” e quindi ha ragione “a chiedere una responsabilizzazione, a chiedere un cambiamento”. Pochi giorni dopo papa Francesco, nel suo saluto ai giovani economisti riuniti a Perugia ha affermato: “Voi siete forse l’ultima generazione che ci può salvare, non esagero”
Gli Zeta (gli “unstoppables”), a differenza degli Xers e dei Millennials, stanno diventando una generazione “politica”. Come mette in luce un’ ampia letteratura sociologica che parte da Ortega y Gasset e Mannheim, ogni nuova generazione è chiamata a reinventare il mondo a partire dal sistema di vincoli e opportunità in cui viene posta nel contesto storico in cui vive. Molte subiscono i mutamenti del proprio tempo altre lasciano la propria impronta. La differenza la fa il giungere, come scrive Fogt, “in modo simile e consapevole a prendere posizione nei confronti delle idee e dei valori dell’ordinamento politico nel quale sono cresciuti”.
E’ da tempo che non si osservata una generazione che in modo così chiaro manifesta l’urgenza di agire, cercando nel contempo di maturare una propria visione di come il mondo va cambiato e con quali strumenti produrre il cambiamento. Prima degli Zeta lo sono stati i Boomers, una generazione che ha avuto successo nel farsi classe dirigente, molto meno nel migliorare le condizioni di chi veniva dopo.
La questione che i giovani oggi pongono al centro è ineludibile. E’ sentita dai coetanei di Greta come propria pur trovando riconoscimento trasversale. Va anche oltre il tema ambientale in senso stretto. In primo luogo perché aiuta ad adottare un approccio che consente di far uscire il futuro dalla sfera dell’inquietudine generica per collocarlo entro un orizzonte di scenari possibili dipendenti dai comportamenti di oggi. O, ancor più, a porre il domani desiderato come guida delle decisioni da prendere oggi. La spada di Damocle del futuro incerto e minaccioso che pende sulla testa dei giovani viene metaforicamente afferrata dalla generazione politica e brandita per reclamare diritti, spazi e opportunità per contare ora.
In secondo luogo perché lo stesso impegno per il futuro del pianeta consente di sperimentare modalità di partecipazione e di protagonismo non solo congeniali con le proprie competenze e predisposizioni ma anche pragmaticamente efficaci rispetto agli obiettivi e alla necessità di guadagnare visibilità e attenzione da un pubblico più vasto.
A differenza dei Boomers il punto di partenza non è l’adesione ad un’ideologia, ma l’esperienza concreta su un tema specifico di interesse e valore comune che consente di sentirsi parte di un cambiamento possibile grazie a un proprio contributo riconoscibile. Questa esperienza incentiva poi a informarsi meglio e a impegnarsi ancora di più, sviluppando progressivamente una visione del proprio ruolo come generazione “politica” che ingloba coerentemente il tema dell’ambiente all’interno di una riflessione più ampia sulla costruzione di un modello di sviluppo inclusivo e sostenibile.
Nessuno fermi la generazione Greta, ma teniamo ben presente che rimane responsabilità di tutti la direzione da dare al futuro comune.
Demografia: Occidente a prova di qualità
La demografia ha avuto un ruolo rilevante nella lunga fase storica in cui l’Occidente ha allargato le basi del proprio benessere economico e la sua sfera di influenza culturale e geopolitica nel mondo. La combinazione tra rivoluzione scientifica, rivoluzione industriale e transizione demografica, ha progressivamente cambiato in tutto il Pianeta le coordinate di riferimento (non necessariamente i comportamenti) del modo di vivere, di stare in relazione, di produrre ricchezza, di formare aspettative e orientare le proprie scelte individuali e di contribuire a quelle collettive. Oggi si può essere terrapiattisti o si può vivere in una comunità che cerca di imporre regole restrittive sulle scelte femminili, ma non c’è dubbio che tali due prospettive si collocano all’interno di un sistema generale di coordinate di lettura della realtà che ha come riferimento un Pianeta di forma tonda e la parità di genere.
Elezioni, ripartire dal basso
Dopo la discontinuità prodotta dalla Seconda Guerra Mondiale si aprì in Italia, come ben noto, la fase di “Ricostruzione”. Se non si sentì la necessità di chiamarla “Nuova costruzione” fu anche perché la discontinuità risultava sancita in modo evidente da profondi mutamenti dell’assetto istituzionale. Con il referendum del 2 giugno 1946 (che vide, tra l’altro, per la prima volta la partecipazione femminile) si passò a una nuova forma di Governo, con conseguente cambiamento del nome dello Stato italiano (da “Regno d’Italia” a “Repubblica italiana”) e la stesura di una nuova carta costituzionale.
Il Covid-19 non ha fatto crollare gli edifici ma ci impone (o offre l’occasione) di costruire un nuovo modello sociale, un nuovo modo di stare in relazione, una nuova organizzazione all’interno del contesto lavorativo, anche un nuovo rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. La fase dell’Italia post pandemica è auspicata avere spirito e modalità analoghi, pur con tutte le differenze, a quelli della Ricostruzione che pose anche le basi del miracolo economico. Gli stanziamenti messi a disposizione per finanziare un nuovo inizio per il nostro paese, in particolare quelli di Next Generation Eu, trovano un precedente simile solo nel piano Marshall avviato nel 1946. Quello di cui l’Italia di oggi non potrà giovarsi è allora proprio l’impulso non solo simbolico, dato dal rinnovo delle basi democratiche del paese.
Il momento partecipativo democratico più importante della fase post emergenza sanitaria è rappresentato dalle elezioni amministrative che si terranno il prossimo 3 ottobre. Le prime di una Italia pienamente proiettata nel progettare il dopo. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che indica come verranno investite le risorse di questo nuovo piano Marshall, è il frutto di decisioni prese dall’alto. La prima scelta democratica che indirizza lo scenario post-pandemico è quindi, di fatto, proprio quella del rinnovo delle amministrazioni di 1.160 comuni (oltre che di alcune Regioni) e che coinvolge oltre 12 milioni di cittadini.
Il valore di tali elezioni – non solo sul piano simbolico – sarebbe stato ancor maggiore se si fosse colta l’occasione di estendere il voto locale ai sedicenni, compresi i figli degli immigrati (con possibilità di accesso alla cittadinanza prima dei 18 anni attraverso lo ius culturae). Purtroppo nessuna di tali due riforme a costo zero è stata (ancora) attuata.
Rimane in ogni caso vero che gran parte di come verrà organizzata, interpretata, vissuta la nuova normalità, dipenderà dalle soluzioni e dalle innovazioni che troveranno successo sul territorio. Detto in altre parole, il successo dell’avvio di una nuova fase del paese dipenderà da come il Pnrr e le risorse disponibili sapranno rendersi funzionali e coerenti con le migliori pratiche ed esperienze espresse nelle città, nei quartieri, nelle realtà locali.
E’ a partire da questa convinzione che si è sviluppato il confronto organizzato lo scorso sabato 18 settembre dall’associazione “Mappa celeste – Forum per il futuro” (www.mappaceleste.it). Da oramai tre anni Mappa celeste organizza eventi – metaforicamente collocati nei passaggi di stagione – con l’obiettivo di mettere in rete e far emergere ciò che dal basso funziona, è sostenibile e crea valore nell’aprirsi positivamente verso il futuro e in coerenza con i grandi cambiamenti del nostro tempo. Il tema messo al centro in questa occasione è stato quello del rapporto tra politica e prossimità.
La serata si è aperta con un intervento di Ezio Manzini, autore del recente libro «Abitare la prossimità. Idee per la città dei 15 minuti» e si è chiusa con Cristina Tajani, che ha appena pubblicato «Città prossime. Dal quartiere al mondo: Milano e le metropoli globali». Tra tali due interventi si è svolto il racconto di candidati – soprattutto giovani e donne – che hanno deciso di mettersi a disposizione, nel modo più stretto con il territorio (nei municipi delle grandi città e nei piccoli comuni), per aiutare a dar spinta e direzione dal basso ad un nuovo percorso del paese. Al di là dei candidati sindaco, su cui si concentra ossessivamente la campagna elettorale, è soprattutto da un impegno come il loro che il territorio può sperimentare nuove forme di protagonismo positivo attraverso processi che mettano in relazione le persone per creare valore condiviso.
Se la pandemia ci ha imposto il distanziamento, è proprio da un nuovo significato e una nuova funzione da dare alla prossimità che ora dobbiamo ripartire.
L’assegno unico universale non sarà risolutivo, ma può essere un inizio
All’interno del quadro europeo l’Italia è stata a lungo uno dei paesi che maggiormente hanno sofferto di un insieme debole, frammentato e disomogeneo di politiche familiari e a sostegno delle nuove generazioni. La conseguenza è stata una maggiore crescita degli squilibri demografici, un’accentuazione delle diseguaglianze sociali, oltre che generazionali e di genere. Una delle principali novità su questo fronte è l’Assegno unico e universale (AUU), istituito con l’obiettivo di “favorire la natalità, di sostenere la genitorialità e di promuovere l’occupazione, in particolare femminile”. A tale misura il portale dei demografi italiani (Neodemos.info) ha dedicato un ebook – appena pubblicato e liberamente accessibile – che ne presenta caratteristiche, potenzialità e limiti, anche in modo comparativo con misure analoghe adottate in altri paesi (Portogallo, Spagna, Francia, Regno Unito, Svezia, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Russia). Nello stesso volume viene sottolineato come l’AUU non sia la bacchetta magica in grado di riallineare l’Italia ai percorsi più virtuosi in Europa, ma possa costituire il punto di partenza di un processo che va in tale direzione.