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Perché la politica ha dimenticato i ragazzi e come recuperare

Dopo essere state le più colpite dalla crisi economica, le nuove generazioni rischiano ora di essere quelle che meno beneficeranno della ripresa, con conseguenze nefaste sul loro futuro e su quello del paese. Ma insieme al presente del lavoro che manca devono confrontarsi con il lavoro che cambia, con strategie d’attacco non solo di difesa (più o meno assistenzialiste). Loro stessi ne sono consapevoli ma appaiono meno attrezzati a farlo rispetto ai loro coetanei del resto del mondo avanzato.

Più che denunciare ciò che non va, ci preme quindi dare un contributo all’elaborazione di un percorso in grado di superare i limiti strutturali e affrontare una realtà che è diversa rispetto a dieci anni fa e che sarà ancor più diversa tra dieci anni. Questo nella convinzione che le nuove generazioni siano la componente del paese che più ha da perdere da un approccio culturale che porta a subire i cambiamenti anziché cogliere le opportunità contenute in ciò che è nuovo (e a poterlo fare con atteggiamento e strumenti efficaci). Acquisire nuove competenze è quindi condizione necessaria per interpretare e mettersi in relazione con la realtà che cambia, per fornire un contributo qualificato alla crescita competitiva delle organizzazioni in cui operano e del paese in cui vivono. Non abbiamo un vero e proprio sistema educativo a rete come altri paesi, investiamo sulla formazione meno della media europea e quasi la metà della Germania.

E’ necessario quindi cambiare approccio partendo da un dato di fondo della società italiana. I soggetti sociali e istituzionali disponibili a una “alleanza” con i giovani scarseggiano, a differenza di ciò che avviene in altri paesi. Da noi il vincolo più forte, l’“alleanza” in grado di garantire sostegno e protezione, resta la famiglia. Purtroppo in un mondo sempre più complesso e in continuo mutamento l’aiuto di madri e padri è sempre meno efficace. Rischia inoltre – per eccesso di protezione – di rendere più fragili i figli e di perpetuare le diseguaglianze sociali, facendo dipendere il destino dei figli più dalle risorse economiche e culturali dai genitori che dall’investimento dei giovani su se stessi. Detto in altre parole, i giovani italiani per difendersi dai rischi si affidano soprattutto ai genitori, mentre per aumentare le proprie opportunità si rivolgono sempre più spesso altrove, magari guardando oltreconfine.

Le nuove generazioni appaiono oggi come un insieme di singoli, ognuno con propria tattica di difesa, anziché come forza sociale in grado di schierarsi in attacco per conquistare un futuro comune desiderato, più coerente con le proprie potenzialità e aspettative. Pensiamo anche solo al mercato del lavoro: divisi ci si può solo adattare ad accettare quello che viene offerto (e ci si troverà in competizione al ribasso), mentre come azione collettiva si può ottenere un cambiamento qualitativo dell’offerta (a vantaggio di tutti e della crescita del paese).

Non dimentichiamo che la maggioranza degli attuali studenti delle scuole secondarie e terziarie in età adulta svolgerà un lavoro che oggi ancora non esiste. Ciò significa che diventa sempre più necessario innovare in profondità organizzazione e linguaggio, mettendo in coerenza nuove sensibilità, nuove istanze e opportunità delle trasformazioni tecnologiche. Perché non pensare già oggi all’utilizzo della tecnologia per intercettare i giovani che non si identificano in una rappresentanza tradizionale anche in ragione dei mutamenti indotti nel lavoro proprio dal digitale?

E’ il caso dei tanti ragazzi impegnati (a volte intrappolati) nella sharing e nella gig economy, in quei lavori cioè che per loro natura non si prestano a essere incasellati sotto le consuete classificazioni giuridiche. E ancora: perché non sfruttare la Blockchain e gli smart contract per semplificare, sburocratizzare e rendere più produttiva la nostra economia? Altro dato caratterizzante della società italiana è il basso livello di fiducia nel gruppo dirigente italiano, nell’attuale classe politica mentre le ultime rilevazioni ci consegnano una risalita positiva delle organizzazioni sindacali. Più che la fiducia negli attuali sindacati, ad aumentare è soprattutto la consapevolezza che confidare nel solo aiuto della famiglia e che andare incontro in ordine sparso ai grandi cambiamenti di questo secolo non può essere una strategia vincente. Alta risulta pertanto, come evidenziano i dati di varie ricerche, la domanda sia di una politica di qualità sia di una rappresentanza collettiva convincente ed efficace. Ma ciò che funziona con i giovani non può cadere dall’alto, va con pazienza costruito insieme a loro dal basso, offrendo non solo partecipazione qualificata ma anche protagonismo, mix di impegno e responsabilità, possibilità di sperimentare con soggetti disposti a rimettersi in discussione.

La ridefinizione del rapporto tra sviluppo del paese e nuove generazioni non può che partire da un rinnovo della capacità di rappresentanza collettiva degli interessi delle nuove generazioni e del futuro collettivo. Attualmente quello che i giovani hanno più dei coetanei del resto d’Europa è l’aiuto privato dei propri genitori, e ciò li rende figli da proteggere il più a lungo possibile. Sostituire l’assistenzialismo dei genitori con uno di stato vorrebbe dire condannare il paese ad un declino irreversibile. Un ruolo diverso è possibile per le nuove generazioni italiane all’interno dei processi di cambiamento e produzione di benessere in questo secolo, ma ha bisogno di alleati sociali in grado essi stessi di ripensare in modo radicale, rifondativo e rigenerativo il proprio ruolo.

In collaborazione con Marco Bentivogli, Segretario generale Fim-Cisl

 

Giovani, politica e sindacati

Arriviamo da una campagna elettorale che ha poco appassionato i giovani e che lascia risultati considerati dai giovani stessi insoddisfacenti. I dati delle rilevazioni post voto mostrano come la grande maggioranza abbia deciso negli ultimi giorni e prevalga la convinzione che non si riuscirà ad avere un governo solido. Questo è allora forse il momento migliore per guardare oltre la necessità della ricerca di immediato consenso per confrontarsi in concreto su come ridefinire le basi di un virtuoso rapporto tra piano di sviluppo del Paese e ruolo delle nuove generazioni.

Chiesa e giovani, così si avvia un nuovo cammino insieme

I giovani hanno una grande voglia di far sentire la propria voce e di diventare protagonisti di una Chiesa che si rinnova, che ‘ringiovanisce il suo volto’. Questo desiderio è emerso in modo molto forte durante il Seminario internazionale di studio sulla situazione giovanile, organizzato in vista della XV Assemblea Generale Ordinaria che avrà per tema ‘I giovani, la fede e il discernimento vocazionale’. Tale seminario, tenuto a Roma dall’11 al 15 settembre, è nato come occasione di incontro tra esperti di varie discipline e giovani di tutte le parti del mondo. Non è, infatti, possibile pensare di occuparsi delle nuove generazioni senza coinvolgerle direttamente e in modo qualificato.

Innovare la formazione per includere con il lavoro

In questi giorni inizia il nuovo anno scolastico per otto milioni di alunni. Molti i problemi e le sfide da affrontare, vale per i singoli ragazzi che stanno costruendo il proprio futuro, ma più in generale vale per il sistema di istruzione che deve mettere in relazione virtuosa il mondo che cambia e la preparazione di nuove generazioni. Una preparazione che non può più essere solo “aggiornata” ma in grado di saper guardare e immaginare oltre.

Sfruttare la ripresa per mollare le rendite e rilanciare lo sviluppo

Un Paese che guarda positivamente al proprio futuro non mette in contrapposizione nuove e vecchie generazioni, ma mette ciascuna nelle condizioni di dare il proprio migliore contributo. Solo una comunità che invecchia culturalmente, che dà per scontato il proprio declino economico e considera le scelte del presente come salvaguardia del benessere passato – anziché impegno per un domani migliore -, può disattendere esigenze e istanze dei giovani e privilegiare risorse e diritti a beneficio dei più maturi. L’Italia questo ha fatto per lungo, troppo, tempo. Il confronto con le altre economie sviluppate è impietoso sugli squilibri prodotti in termini di spesa sociale destinata, di debito pubblico ereditato, di esposizione al rischio di povertà. La carenza di scelte di impegno collettivo verso il futuro ha prodotto un progressivo scadimento della condizione dei giovani e schiacciato in difesa le loro scelte individuali: sul mercato del lavoro, sull’autonomia, sulla formazione di una propria famiglia.

L’uscita dalla crisi, come sempre accade, tanto più quanto la recessione è stata profonda, produce un rimbalzo sugli indicatori rimasti per molti anni compressi. Ma questi segnali non possono essere rassicuranti sulle possibilità di effettiva crescita nel medio e lungo periodo. Dobbiamo ripensare il concetto stesso di crescita. Più che sul confronto della quantità prodotta e consumata oggi rispetto a ieri, dovremmo infatti poterla misurare sulla qualità possibile domani rispetto a oggi. L’indicatore con maggior grado predittivo del benessere futuro è, infatti, quanto ci aspettiamo che esso possa essere migliore rispetto al presente e quanto mettiamo in condizioni di agire con successo chi è nuovo e porta qualcosa di nuovo. Se, come è accaduto sinora in Italia, i giovani diventano sempre più scoraggiati e sfiduciati, propensi a vedere la propria strada di vita varcare il confine, considerati più figli da proteggere che avanguardie di un mondo nuovo da immaginare e costruire, allora nessun valore positivo congiunturale del Pil potrà mai rassicurarci sul destino del Paese. Ma è proprio ora che il mare sta tornando in buone condizioni e il vento tira a favore, che bisogna alzare le vele e prendere lo slancio che serve. Bisogna crederci, bisogna sostenere e dar adeguati strumenti a chi ci crede, bisogna però anche avere una direzione chiara che metta a valor comune volontà e energie di tutti.

Come avverte Seneca, “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Ecco allora che ridurre esogenamente i costi di assunzione per le aziende con sgravi fiscali può essere utile per mettersi in moto, ma sapremo di essere nella direzione giusta solo quanto endogenamente le imprese troveranno conveniente puntare sul capitale umano delle nuove generazioni per migliorare produttività e competitività. Non si tratta solo di rendere più consapevoli i datori di lavoro, ma soprattutto di mettere le basi di un modello di sviluppo in cui – grazie a politiche adeguate e lungimiranti – ciò di cui il Paese ha bisogno per crescere, da un lato, e ciò che le nuove generazioni possono dare, dall’altro, sono aiutati a incontrarsi al loro più alto livello. Per il bene di tutti.