Quello delle donne (degli uomini e delle coppie) che scelgono volontariamente di non avere figli è un tema caldo, di grande risonanza, soprattutto in un’epoca di crisi della fecondità come quella attuale. Perché cresce il numero di donne che arrivano al termine della propria vita fertile senza figli (l’Istat stima una su quattro fra le nate nel 1980)? Dipende solo dalle precarie condizioni economiche dei giovani e dalla mancanza di politiche per la conciliazione? In altri termini, è frutto della posticipazione indefinita di coloro che non trovano le precondizioni per avere figli? Oppure sono cambiate le preferenze, i valori, che muovono le progettualità di vita dei giovani, che quindi non valutano più positivamente la scelta di diventare genitori?
Scelta e non scelta di avere figli
Negli ultimi anni, analizzando i dati delle indagini dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo condotte con Ipsos, abbiamo messo in luce la necessità di rimodulare il sistema di indicatori con cui tradizionalmente si interpretano le intenzioni e i desideri di fecondità. In particolare, abbiamo evidenziato come sia utile considerare, accanto a desideri e intenzioni, la motivazione intrinseca ad avere figli: quanto le persone considerano l’avere figli una dimensione necessaria per sentire pienamente realizzata la propria vita?
Secondo i dati del Rapporto Giovani del 2020, fra i giovani italiani di età compresa fra i 25 e i 34 anni, il 41% dichiara che si sentirebbe comunque realizzato nella vita anche senza figli (li indichiamo come “debolmente motivati); fra di loro è incluso un 14.5% di chi dichiara di non desiderarli affatto (“childfree”), senza significative differenze di genere. Se ci si concentra sulla fascia centrale della vita riproduttiva, quella tra i 30 e i 34 anni, si osserva che tra chi è senza figli la percentuale di childfree e di debolmente motivati sale ulteriormente (perché una parte di chi è orientato ad averli li ha avuti): il 15% degli uomini e quasi il 19% delle donne afferma di non desiderare diventare genitore, mentre più genericamente i debolmente motivati risultano il 38% degli uomini e il 45% delle donne.
Va comunque considerato che orientamenti e decisioni possono mutare nel corso di vita: si può partire da una posizione di childfree ma poi cambiare opinione e avere figli (anche in funzione della presenza di un partner e dei suoi desideri), così come una donna che desidera diventare madre può successivamente valutare che tale obiettivo non sia prioritario e investire nella realizzazione professionale e in altri ambiti di vita.
Il progetto di diventare genitori tende inoltre a indebolirsi non solo per questioni socio-economiche e culturali, ma anche per le accresciute incertezze con cui le giovani generazioni di oggi guardano al futuro. Secondo i dati pubblicati nel Rapporto Giovani 2024 (Frageri, Luppi e Zanasi, 2024), mentre il 68% dei giovani italiani non pianifica un figlio a breve perché preoccupato per la situazione economica del paese, il 62%1 dichiara di non farlo perché preoccupato per il futuro che attenderebbe il figlio in un mondo compromesso dal cambiamento climatico. I paesi, però, che in modo più solido investono sulla formazione delle nuove generazioni, che promuovono un loro ruolo attivo nei processi di sviluppo sostenibile, che sostengono i loro progetti di vita, mettono i giovani nelle condizioni di affrontare meglio tali preoccupazioni e abilitare maggiormente scelte impegnative e responsabilizzanti verso il futuro, come quella di avere un figlio
Fattori culturali e difficoltà oggettive coesistono
Tornando al nostro quesito iniziale, ovvero se contano di più i fattori socio-economici (contestuali e individuali) o quelli culturali, l’evidenza ottenuta dai nostri studi non supporta interpretazioni univoche, ma indica piuttosto la coesistenza di entrambi i fattori (Luppi, Rosina e Testa 2024). Il fenomeno delle donne “childfree” – ovvero di coloro che dichiarano di non desiderare figli e per cui la scelta di non averne è l’espressione di una esplicita preferenza individuale – è forse oggi meno semplice da interpretare di quanto lo fosse vent’anni fa. Se precedenti studi avevano evidenziato il carattere “progressista”, “postmaterialista” e l’orientamento alla carriera delle donne childfree (mediamente più istruite e più facilmente occupate delle donne con figli), le evidenze che riscontriamo sui dati del rapporto giovani offrono una prospettiva un po’ diversa e più articolata (Luppi, Rosina e Testa 2021; Luppi, 2022).
Considerando le donne di 30-34 anni senza figli, coloro che si dichiarano childfree risultano dalle nostre analisi mediamente meno istruite di chi desidera figli (25% di laureate vs 32%), sono meno frequentemente in una relazione stabile (31% vs 50%), sono in maggior percentuale nella condizione di Neet (27% vs 23%), oltre ad avere un reddito individuale mediamente più basso (il 41% guadagna meno di 500 euro al mese contro il 23% delle donne che desiderano figli). Fra le donne senza figli, quindi, sono le childfree quelle che si trovano in una condizione relazionale, lavorativa e di autonomia economica meno adatta per pianificare una famiglia. Le donne che rientrano nella categoria “debolmente motivate”, invece, hanno più facilmente una laurea, un partner e un lavoro con reddito elevato, anche maggiore in media rispetto alle coetanee più fortemente orientate alla famiglia con figli. Sono quindi le debolmente motivate quelle che hanno maggiormente da perdere incorrendo nella motherhood penalty.
È quindi molto difficile pensare che tutte le childfree non abbiano figli esclusivamente “per scelta”, così come invece è legittimo immaginare la difficoltà delle poco motivate alla maternità a conciliare l’idea di avere figli con quella di realizzarsi pienamente anche in altri ambiti della vita.
Se da una parte l’accresciuta accettazione sociale della possibilità di non avere figli nella vita e la necessità di realizzarsi pienamente in molti ambiti (e non solo in quello genitoriale) è sicuramente legata a un cambiamento valoriale fra le giovani generazioni, dall’altra ricondurre il fenomeno childfree a una sola spiegazione culturale sembra riduttivo. Se è sempre più accettabile non avere figli, dichiararsi childfree può avere anche la funzione di riduzione della dissonanza cognitiva fra il desiderio, quello non dichiarato, e una realtà antagonista.
(articolo di Francesca Luppi and Alessandro Rosina)
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