Sos giovani: Italia ultima in Europa, deserto al Sud

Con le nuove generazioni va ricreato un percorso di vita.

La qualità del futuro di un territorio è strettamente dipendente dalla qualità della formazione delle nuove generazioni e dalla valorizzazione del loro capitale umano. Per capire, allora, se una economia avanzata sta andando nella direzione giusta, gli indicatori più informativi sono proprio quelli che riguardano la condizione dei giovani. Se questo è vero, vanno guardati con grande preoccupazione i valori riportati in queste pagine. Confermano che non solo ci troviamo con meno giovani rispetto al resto d’Europa, ma li dotiamo complessivamente di meno degli strumenti necessari per renderli ben preparati, attivi e vincenti rispetto alle sfide del proprio tempo. Rivelano impietosamente il fallimento delle politiche degli ultimi decenni nel compito più alto di una comunità, che è quello di trasformare il potenziale delle nuove generazioni in produzione di valore collettivo.

Se i giovani non sono messi nelle condizioni di raggiungere la frontiera del cambiamento, scivolano inevitabilmente nelle retrovie, diventando rimpiazzo a basso costo di un paese trincerato in difesa, anziché forza al servizio della conquista di nuovi spazi strategici di sviluppo. E’ necessario, quindi, potenziare tutta la transizione scuola-lavoro. Bene quindi l’intenzione manifestata di rafforzare le competenze tecniche, i percorsi professionalizzanti, le politiche attive. Ma al di là delle singole misure serve un’attenzione particolare a migliorare il rendimento dell’istruzione, che costituisce la principale leva per il rialzo qualitativo di domanda e offerta di lavoro. Produce infatti ricadute positive sulla competitività delle imprese, sui percorsi di carriera, ma incentiva anche i più giovani a formarsi bene per cogliere nuove e migliori opportunità in un mondo in continua trasformazione.

Il ruolo delle nuove generazioni non è, infatti, semplicemente quello di occupare il posto delle precedenti. Devono poter trasformare in modo efficace le loro idee in nuove soluzioni che migliorano la società in cui vivono, mettendo in relazione il meglio della conoscenza scientifica del proprio tempo con le opportunità di innovazione dei beni e servizi. Il successo stesso della transizione verde e digitale dipende strettamente dalla capacità di assegnare ai nuovi entranti nel mondo del lavoro questo ruolo. Se dopo l’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza il sistema di indicatori qui presentato non evidenzierà una solida convergenza verso la media europea, l’Italia non potrà che prendere atto di aver perso l’ultima possibilità concessa di rimanere agganciata ai processi più avanzati di sviluppo di questo secolo.

Essere a capo del Governo in questo momento storico significa assumersi una responsabilità comparabile a quella del rilancio dell’Italia nell’immediato secondo dopoguerra. Non è un caso che, nel suo discorso per la fiducia al Senato, il presidente Draghi abbia esplicitamente fatto riferimento a tale snodo cruciale del nostro paese: fase in cui “l’Italia si risollevò dal disastro” e mise le basi, con orgoglio e determinazione, del miracolo economico. Lo fece “grazie a investimenti e lavoro”, ma soprattutto guidata dalla “convinzione che il futuro delle generazioni successive sarebbe stato migliore per tutti”.

Deve essere, però, ben chiaro che il “disastro” da cui oggi dobbiamo risollevarci non è solo quello provocato dalla pandemia, ma ancor più quello a cui ci hanno portato decenni di scelte deboli e inefficaci, il cui riscontro più eclatante sono proprio i valori degli indicatori che misurano la qualità dei percorsi formativi e professionali delle nuove generazioni, da leggere in modo sistemico con quelli dello sviluppo competitivo del paese.

Quello che differenzia in negativo i giovani di oggi non è il benessere di partenza ma qualcosa di molto più importante, ovvero le prospettive su cui costruire il proprio percorso di vita. I primi decenni del secondo dopoguerra sono stati caratterizzati da una combinazione tra dinamismo economico, espansione dell’occupazione in nuovi settori, investimenti su formazione, ma anche da aspettative positive crescenti verso il futuro, con mobilità sociale ascendente. Le nuove generazioni erano una risorsa consistente, dinamica e vivace, dalla quale il sistema paese trasse la sua principale spinta per crescere.

L’insegnamento che ne deriva per oggi non è solo che condizione delle nuove generazioni e sviluppo economico sono legati, ma anche che per superare le fasi di difficoltà e di rilancio da una discontinuità serve un progetto paese in cui le nuove generazioni possano riconoscersi e intravedere una propria parte attiva. Il miglioramento delle condizioni oggettive, la visione di un futuro migliore, l’incoraggiamento a realizzare le proprie scelte di vita, sono ingranaggi che devono ben integrarsi e girare assieme per alimentare il processo di produzione di nuovo benessere in una comunità.

Al di là dei livelli attuali di disoccupazione e sottoccupazione quello che pesa soprattutto nei giovani, infatti, è non sentirsi parte attiva dei processi di crescita, non inclusi in un percorso che nel tempo consenta di dimostrare quanto si vale e di veder riconosciuto pienamente il proprio impegno e il proprio valore.

Nel “coraggio delle visioni” da costruire e nella “qualità delle decisioni” da prendere, allora, anche i giovani devono potersi sentire coinvolti. Perché l’obiettivo non è vivere in un paese che realizza i loro sogni, ma che li mette nelle condizioni di realizzarli con la propria sensibilità e al meglio delle proprie possibilità.

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