Un Paese che guarda positivamente al proprio futuro non mette in contrapposizione nuove e vecchie generazioni, ma mette ciascuna nelle condizioni di dare il proprio migliore contributo. Solo una comunità che invecchia culturalmente, che dà per scontato il proprio declino economico e considera le scelte del presente come salvaguardia del benessere passato – anziché impegno per un domani migliore -, può disattendere esigenze e istanze dei giovani e privilegiare risorse e diritti a beneficio dei più maturi. L’Italia questo ha fatto per lungo, troppo, tempo. Il confronto con le altre economie sviluppate è impietoso sugli squilibri prodotti in termini di spesa sociale destinata, di debito pubblico ereditato, di esposizione al rischio di povertà. La carenza di scelte di impegno collettivo verso il futuro ha prodotto un progressivo scadimento della condizione dei giovani e schiacciato in difesa le loro scelte individuali: sul mercato del lavoro, sull’autonomia, sulla formazione di una propria famiglia.
L’uscita dalla crisi, come sempre accade, tanto più quanto la recessione è stata profonda, produce un rimbalzo sugli indicatori rimasti per molti anni compressi. Ma questi segnali non possono essere rassicuranti sulle possibilità di effettiva crescita nel medio e lungo periodo. Dobbiamo ripensare il concetto stesso di crescita. Più che sul confronto della quantità prodotta e consumata oggi rispetto a ieri, dovremmo infatti poterla misurare sulla qualità possibile domani rispetto a oggi. L’indicatore con maggior grado predittivo del benessere futuro è, infatti, quanto ci aspettiamo che esso possa essere migliore rispetto al presente e quanto mettiamo in condizioni di agire con successo chi è nuovo e porta qualcosa di nuovo. Se, come è accaduto sinora in Italia, i giovani diventano sempre più scoraggiati e sfiduciati, propensi a vedere la propria strada di vita varcare il confine, considerati più figli da proteggere che avanguardie di un mondo nuovo da immaginare e costruire, allora nessun valore positivo congiunturale del Pil potrà mai rassicurarci sul destino del Paese. Ma è proprio ora che il mare sta tornando in buone condizioni e il vento tira a favore, che bisogna alzare le vele e prendere lo slancio che serve. Bisogna crederci, bisogna sostenere e dar adeguati strumenti a chi ci crede, bisogna però anche avere una direzione chiara che metta a valor comune volontà e energie di tutti.
Come avverte Seneca, “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Ecco allora che ridurre esogenamente i costi di assunzione per le aziende con sgravi fiscali può essere utile per mettersi in moto, ma sapremo di essere nella direzione giusta solo quanto endogenamente le imprese troveranno conveniente puntare sul capitale umano delle nuove generazioni per migliorare produttività e competitività. Non si tratta solo di rendere più consapevoli i datori di lavoro, ma soprattutto di mettere le basi di un modello di sviluppo in cui – grazie a politiche adeguate e lungimiranti – ciò di cui il Paese ha bisogno per crescere, da un lato, e ciò che le nuove generazioni possono dare, dall’altro, sono aiutati a incontrarsi al loro più alto livello. Per il bene di tutti.