Dato che su queste pagine per anni, nella rubrica “La città che cambia”, ho raccontato una Milano che meglio del resto del Paese stava affrontando la crisi economica e che metteva in atto processi di innovazione inclusiva, posso ora permettermi di sollevare qualche critica. Stiamo gigioneggiando un po’ troppo: il vantarsi di essere diversi dal resto d’Italia sta diventando un po’ stucchevole e anche pericoloso. Da un lato il clima di aspettative crescenti incentiva il fare, sperimentare, partecipare ad un processo in cui la torta collettivamente si allarga (non schiacciati in difesa della propria fetta limitata). D’altro lato, si può rischiare di fare la fine della rana della favola di Esopo, che pur di mostrare di crescere si gonfia oltre misura.
Un segnale che fa riflettere è l’aumento di popolazione a fronte di una riduzione delle nascite. Ma Milano può essere meglio del resto del Paese se attrae senza far fiorire i progetti di vita? Può costruire un futuro migliore solo crescendo dall’alto? Può aprirsi al mondo senza essere luogo in cui venire al mondo? Durante la recessione la fecondità ha tenuto meglio rispetto al dato nazionale, ma preoccupa ora la mancanza di ripresa superata la burrasca. Interessante il confronto con Berlino, che presenta nascite in aumento. Berlino oggi è attraente per le condizioni economiche, ma anche per l’attenzione specifica ai servizi per le famiglie. Una coppia che decide di avere un figlio in tale complessa realtà, soprattutto se non ha una rete parentale di supporto, sa di poter trovare tutte le informazioni necessarie sul portale dedicato e accedere a una rete ampia di servizi (anche con soluzioni ad hoc) continuamente monitorati e migliorati. Se non ci si prende cura dei progetti di vita qualsiasi crescita rischia di essere una bolla che prima o poi implode.