28/07/2019 | |
ELLE MAGAZINE |
Vale e Michele hanno due bambini, Matilda di 4 anni e Leonardo che va per i due. Lei è freelance, lui lavora part time: entrambi affermano, senza dubbio alcuno, d’aver messo su famiglia “nonostante tutto”. E quel “tutto”, che accomuna le storie delle coppie che abbiamo qui affettuosamente ribattezzato “eroi della generazione 1,3” (cifra magrissima che indica il numero medio di figli per donna, in Italia), è un tetris di condizioni avverse. Dalla precarietà del lavoro ai costi esorbitanti degli asili, al disequilibrio nella divisione delle incombenze domestiche, ancora sbilanciato a sfavore delle donne.
Perché facciamo meno figli?
Il racconto di Vale, 36enne torinese, incarna però benissimo lo slancio ottimistico di ribellarsi: “Il mio punto di vista”, mi spiega al telefono, in una manciata di minuti rubati a un viaggio di lavoro, “è sempre stato questo: se aspetto le condizioni ottimali, non farò mai dei figli. La rassegnazione all’eterna precarietà (che non cambierà mai) si può affrontare in due modi: o trincerandosi nella conservazione di quel (poco che si ha, o dando voce a una buona dose di “incoscienza”. Io ho scelto la seconda, un po’ come le nostre nonne, che certo non vivevano nell’agio. So che ai miei figli non potrò mai dare lo status di vita che ha avuto la mia generazione: ero figlia di “carrieristi” che tornavano tardi la sera per costruire quello che poi ci avrebbero lasciato. Cerco di controbilanciare con una maggiore presenza, a scapito di notti di lavoro tipicamente da freelance, e valanghe di affetto”.
Non parla a caso di “incoscienza”, Vale. Se si guarda al quadro generale il nostro è un Paese da emergenza demografica: oltre a registrare l’ennesimo record negativo, con 9mila bambini in meno (-2%) nati nel 2017 rispetto all’anno precedente, gli ultimi dati Istat ci dicono che in dieci anni sono sparite anche le mamme. Dal 2008 si contano 900mila donne in meno nella classe 15-50 anni, di cui 200mila “scomparse” solo nell’ultimo anno. E se le madri potenziali sono sempre di meno, quelle che poi diventano mamme davvero lo fanno sempre più in ritardo. L’età media al parto nel 2017 è salita a 31,8 anni. Significa che le donne italiane fanno il primo figlio, mediamente, a quasi 32 anni. E gli uomini intorno ai 35.
Famiglia e nuovi valori, facciamo il punto
Vittoria Buratta, Direttore centrale Istat per le Statistiche Sociali e il Censimento della Popolazione, mi spiega: “La nascita di un figlio è una tappa importante della transizione allo stato adulto. Il percorso inizia con il conseguimento dell’indipendenza dei giovani dalla famiglia di origine, creando così le premesse per la realizzazione anche di progetti familiari. La prolungata permanenza dei giovani a casa di mamma e papà determina uno spostamento in avanti di tutte le altre tappe. Molti i fattori che influiscono su questo comportamento: l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà a entrare nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni”.
Gli effetti sociali della crisi influenzano la cadenza delle nascite. Il contesto economico è un fattore decisivo «ma non l’unico nelle scelte riproduttive», continua Buratta. “Un ruolo di primo piano ce l’hanno i servizi, le reti di supporto (non solo familiari e parentali), le politiche per conciliazione lavoro-famiglia. Il trend non è un destino: si può anche invertire. È successo in Germania, che alcuni anni fa aveva livelli più bassi dei nostri e ora ha un numero medio di figli per donna molto più alto. Ma anche in alcune zone del nostro Paese, come Bolzano)”. Aggiunge Alessandro Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano, e autore de Il futuro non invecchia (ed.Vita e Pensiero): “Il calo demografico non è irreversibile, ma più passa il tempo e più diventa difficile contrastarlo e invertire la tendenza negativa. Per la prima volta nel 2018 il numero di nuovi nati è sceso sotto il numero degli ultraottantenni. Complica la risalita delle nascite il fatto che, come conseguenza della denatalità passata, siamo entrati in una fase di riduzione del numero di donne che oggi si trovano al centro della vita riproduttiva. Per aumentare le nascite è necessario sostenerle nella scelta di avere un figlio, farla diventare una scelta di successo in combinazione con le altre dimensioni di vita. I nodi principali da sciogliere con politiche incisive ed efficaci sono quello tra lavoro e autonomia dei giovani e quello tra lavoro e impegni familiari specie sul versante femminile”.