«II desiderio di protagonismo dei giovani c’è, esiste ed è spiccato». Alessandro Rosina è professore di Demografia e Statistica sociale dell’Università Cattolica di Milano e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo che indaga anche il rapporto tra giovani e politica.
Professore, da una parte gli studenti sono tornati a farsi sentire con forza nelle università. Dall’altra colpisce la loro scarsa partecipazione al voto. Come lo si spiega?
«Il loro desiderio di farsi sentire e di fare la differenza con le proprie idee non è inferiore rispetto alle generazione precedenti, anzi, tende a rafforzarsi, anche perché sono di meno, sanno che se stanno zitti va ancora peggio, per incidere devono farsi sentire insieme, non in maniera isolata. Il singolo non può cambiare un mondo in rapida trasformazione, può solo difendersi. Per un cambiamento sistemico sa che deve agire collettivamente, farsi sentire come “generazioni politica”. Non sono però le modalità di partecipazione del passato: mancano le grandi ideologie, manca il senso di appartenenza stabile a partiti, c’è uno sguardo più pragmatico».
Si mobilitano ancora di più su tematiche internazionali rispetto a problemi più locali e universitari?
«Sì. Lo abbiamo visto sui temi che riguardano l’ambiente, nelle situazioni di emergenza quando si sono dati da fare dopo le inondazioni, lo vediamo con le guerre: sentono la chiamata dei grandi temi. Non sono passivi. Anche quando la studentessa di Bergamo (Ilaria Lamera, ndr) ha montato la sua prima tenda davanti al Politecnico un anno fa non lo ha fatto per lei, non ha detto “chiedo più soldi ai miei genitori o rinuncio a vivere a Milano”, ha capito che è un tema collettivo, che non riguarda solo lei, che il Paese ha bisogno di giovani che si laureino e ha chiesto un cambiamento di sistema con la sua forma di protesta. Non si vergognano di fare capire le proprie fragilità: quando qualcosa non funziona si fanno parte attiva».
Cos’è cambiato rispetto al movimento studentesco degli anni passati?
«Un tempo si partecipava per un ideale e per portarlo avanti. Oggi non basta, vogliono vedere riscontri concreti di quello che fanno per non sentirsi impotenti. E non c’è un rapporto verticistico».
Gli studenti in tenda sono in contatto con i compagni in America e negli altri Paesi. 11 legame sovranazionale è più forte?
«Sì, i giovani si sentono più vicini ai giovani di altri Paesi rispetto alle generazioni più adulte dei loro stessi Paesi. E si è visto anche con Brexit: i giovani hanno votato per restare in Europa, anche se sapevano che il modello Europa era in difficoltà. Si confrontano con un mondo più ampio. In questo emerge anche il ruolo
della rete, che avrà tante limitazioni, ma permette di partecipare a progetti comuni. Wikipedia è un po’ il simbolo di come insieme si possono arricchire le competenze».
Tra le forme di proteste è tornato a Milano lo sciopero della fame. Novità, riformulazione?
«Fa parte della sperimentazione, anche quelle vecchie sono reinterpretate in modo nuovo, come lo scendere in piazza».
Come vedono la politica?
«Alla domanda che poniamo nella nostra ricerca se la politica è uno strumento per migliorare la
vita dei cittadini, la percentuale di chi ha risposto “sì” è andata aumentando dal 70% del 2018 al
75% di oggi ed è un segnale positivo. Ma uno su quattro comunque si sente escluso, impotente.
Oltre l’80% vuole una politica che non decida dall’alto ma aperta e coinvolgente per i giovani
(era il 74% nel 2018)».
A fronte di questo desiderio di protagonismo, perché l’affluenza è ancora scarsa tra i giovani?
«Perché le generazioni del secondo dopoguerra e dell’Italia che trovava la democrazia dopo il Fascismo e il voto alle donne avevano introiettato il valore della partecipazione, importante in sé. Puoi votare quello che vuoi ma partecipa. Nelle nuove generazioni ha valore solo se produce cambiamento, se grazie al tuo
voto qualcosa può cambiare».
Come invertire la tendenza?
«Con quattro “C”, le quattro condizioni che servono sono: coinvolgimento, credibilità (i giovani non devono essere coinvolti per ‘svecchiare’ i partiti e strumentalizzati ma si deve dare mandato a loro anche di essere scomodi); contenuti (e devono esserci i grandi temi) e concretezza».