Teenager: più di studio e successo, conta il lavoro

24/02/2016
D repubblica
Teenager: più di studio e successo, conta il lavoro D repubblica

Quest’anno sono 19 candeline. Per molti a giugno ci sarà il temutissimo esame di maturità e poi si dovrà scegliere se buttarsi nel mondo del lavoro o proseguire gli studi, all’Università. Più probabilmente, sceglieranno di fare sia l’uno che l’altro. Perché questi diciannovenni sono diversi da quelli dell’anno scorso, non sono più Millennial, ma l’avamposto di una nuova generazione, gli Zeta, i nativi digitali. La loro caratteristica principale? Sono imprenditori di loro stessi. Rivoluzioneranno il mondo del lavoro? «Probabile», risponde Alessandro Rosina, professore di Demografia all’università Cattolica di Milano e autore del libro “Neet. Giovani che non studiano e non lavorano” (Vita & Pensiero, 2015), il più importante studioso di nuove generazioni della nazione. Finora i sociologi si sono concentrati sui Millennials, nati con un sacco di aspettative e ghiacciati dalla recessione economica e da un mucchio di (inattesi) cambi di programma (dallo choc degli attentati alle Torri Gemelle a quelli di Londra e Parigi, la scomparsa del posto fisso, l’avvento del digitale), al punto che gli studiosi l’hanno anche battezzata la “generazione perduta”. Mentre, i fratelli minori dei Millennials hanno assimilate questi sconvolgimenti fin da piccolissimi e non si sono creati alcuna illusione di un futuro roseo. Sono di tutt’altra pasta e mentre nei paesi anglosassoni fioriscono gli studi su di loro, in Italia l’unica ricerca sociologica sui teenager – nati tra il 1997 e il 2010 – è quella realizzata da Rosina: “Capitale Adolescenti. La sfida del passaggio all’età adulta in una società complessa”, promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo e dal Centro Nazionale Opere Salesiane. L’indagine è stata effettuata intervistando 700 ragazzi delle scuole romane, sia licei che istituti professionali, di cui l’84% italiani e gli altri stranieri.

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