15/12/2021 | |
IL SOLE 24 ORE |
Qualche giorno fa l’Istat ci ha comunicato che la linea demografica del Paese sta peggiorando in modo drammatico. Quella che il demografo Alessandro Rosina chiama «de-giovanimento» è questione che ormai tocca metropoli, città medie e piccoli comuni. Sono soprattutto questi ultimi a rischiare la desertificazione. Questione vitale nella faglia terremotata dei comuni polvere in ricostruzione nell’Italia di mezzo. Nei piccoli comuni i giovani diventano un bene raro quanto prezioso, rappresentando l’unica possibilità in grado di cambiare il destino dei territori diffusi, purché ci rimangano a vivere o ne siano attratti. Senza giovani non c’è modo di riprodurre e ammodernare il tessuto della micro-impresa che vivifica le economie locali, né di reperire capitale umano qualificato. Senza giovani le comunità operose si svuotano, lasciando l’Italia dei borghi e dei paesaggi lavorati dall’uomo nei secoli senza comunità e società.
Per scongiurare in qualche modo questo destino si muovono anche tante imprese che provano a investire il proprio capitale reputazionale in quello sociale delle comunità . A muoverle è il radicamento territoriale tipico del nostro modello di capitalismo famigliare, più che la benevolenza filantropica, che è qualcosa di molto più concreto e “caldo” rispetto agli schemi tiepidi della Corporate social responsibility e anche qualcosa di diverso dal give back anglosassone imperniato sulla scissione tra momento del profitto e della beneficienza. Di questi imprenditori che tengono assieme il saper stare sulla frontiera tecnologica e su quella della comunità, ho citato qualche settimana fa il caso di Caprai a Montefalco con le sue cantine del Sagrantino, e il distretto del cappello a Montappone nei Sibillini passando dall’Umbria alle Marche.