Ora abbiamo una data: il 2080. Quell’anno, in Italia, i vivi online diventeranno una minoranza. I profili delle persone decedute, con i loro commenti, foto, i video, sms e tweet, saranno di più. Non sappiamo che volto avrà la rete, né se Facebook o i suoi eredi saranno ancora in giro, ma una cosa è certa: la sopravvivenza in formato interattivo, in quest’era segnata dalle promesse dell’intelligenza artificiale, è già allo studio. Si stanno immaginando personalità sintetiche dei trapassati, fatte crescere sui dati raccolti nel corso di intere esistenze e capaci di dialogare con i vivi. Ne accenna Giovanni Ziccardi, docente di Informatica giuridica dell’Università di Milano, nel saggio il libro digitale dei morti (Utet), che domani verrà presentato al Festival del Giornalismo di Perugia. E ne parla, da tempo, Ray Kurzweil.
Classe 1948, nato nel Queens a New York in una famiglia di ebrei austriaci fuggiti dalla Grande Guerra, Kurzweil oggi è in forza a Google. Pioniere del riconoscimento del linguaggio da parte delle macchine, il mese passato al festival South by South West (Sxsw) ad Austin, in Texas, ha dichiarato che “entro il 2029 i computer saranno più intelligenti degli uomini”. Sembra che le sue previsioni siano accurate all’86 per cento. Ma è vero che nel 1990 predisse che in dieci anni i computer ci avrebbero battuto a scacchi. E’ accaduto prima, nel 1996, quando Deep Blue della Ibm ha prevalso su Garry Kasparov. Di recente Kurzweil si è messo a lavorare ad un’intelligenza artificiale basata sui dati del padre scomparso, creando un avatar con cui chiacchierare. “E’ un modo per riportarlo in vita” ha spiegato. “Non è una versione completamente fedele, ma gli si avvicina molto”. Non è l’unico caso. Lo scorso ottobre Eugenia Kuyda, ventinovenne nata a Mosca che vive nella Silicon Valley e si occupa di intelligenza artificiale, ha creato un software, una chatbot per l’esattezza, basato sui dati del suo amico Roman Mazurenko, morto in un incidente stradale. E negli Usa già dal 2014 sono nati servizi come Eterni.Me, che offrono la possibilità di “tenere in vita” i dati di una persona. Seguiti a ruota da Eter9 o Replica, della stessa Kuyda, dove, fornendo tutte le informazioni digitali necessarie, ci si sdoppia in un’ entità intelligente che vive online e promette di essere eterna. In America, dove il numero di persone anziane che frequenta i social network è più alto che in Italia, il sorpasso dei morti sui vivi online dovrebbe accadere prima. Nel mondo reale invece è avvenuto migliaia di anni fa. Il calcolo è stato fatto dalla Bbc: sette miliardi di Homo sapiens passati a miglior vita, pari grosso modo alla popolazione attuale, li abbiamo raggiunti fra l’8000 prima di Cristo e i primi anni dell’era cristiana. Al 2080 invece noi siamo arrivati usando le informazioni disponibili sull’era degli utenti dei social network, partendo dal 2008, quando da noi hanno iniziato a diffondersi. Nove anni fa queste piattaforme avevano meno di sei milioni di utenti, oggi arrivano a 31 milioni e abbracciano varie generazioni. Il calcolo è merito di Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e statistica sociale alla Cattolica di Milano. “La vita online si riempie sempre di più di esperienze condivise, gioie e drammi, successi e fallimenti” spiega. “E’ un momento ancora più nuovo di quello incontrato dai primi coloni americani. La popolazione che lo abita è in crescita esponenziale. I social network potranno evolversi nel tempo, ma la vita sul web è destinata a diventare sempre più estesa e pervasiva. E’ un mondo che evolverà con una propria demografia, ancora difficile da prefigurare”. Come dicevamo: non abbiamo alcuna idea di come sarà l’online nel 2080, ma è difficile credere che la quantità di dati personali, quelli che formano il nostro doppio digitale, possa diminuire, anzi. Su questa base Hoessein Rahnama, del Mit Media Lab, ha lanciato un progetto di augmented eternity, eternità aumentata, partendo sempre da un’intelligenza artificiale in grado di costruire una personalità basata su tweet, messaggi Facebook, Snapchat, mail, sms. “Fra 50 o 60 anni, arriveremo a collezionare zettabyte di informazioni personali e ogni zettabyte è pari a un trilione di gigabyte” ha dichiarato alla testata Quartz. “Proprio quel che ci serve per creare una versione digitale di noi stessi”. Sempre ammesso che le leggi permettano all’esperimento di Kurzweil e Rahnama di divenire di massa. “Negli Usa già trenta Stati si sono dati una regolamentazione in merito. E la Spagna è stata la prima in Europa a presentare un disegno di legge, un mese fa” dice Ziccardi. “Viene sempre garantito il diritto del soggetto di indicare come disporre dei suoi beni online dopo la morte. Le maggiori piattaforme digitali già lo consentono. Queste volontà sono prioritarie rispetto ai diritti degli eredi. E se non ci sono, e non c’è un testamento, oggi in America i dati non vengono forniti agli eredi, a meno che non ci sia un ordine del giudice”. Twitter lo ha scritto chiaramente: nessun accesso, visto che si tratta di un pezzo di vita privata, con tutto quello che ne consegue. Ma non è necessario avere anche le conversazioni di una chat per creare una versione digitale di una personalità attraverso l’intelligenza artificiale.
Spesso davanti ad un lutto si dice: “Bisogna andare oltre”. E se invece di andare oltre domani ci fermassimo a chiacchierare? ” Il beneficio non sta tanto nell’illusione di parlare con una persona che abbiamo amato e non c’è più, quanto in quello di essere ascoltati” sostiene Eugenia Kuyda. Cambierebbe però l’idea stessa di morte e di distacco così come li abbiamo elaborati finora. “Abbiamo sempre fatto i conti con le tracce lasciate dai morti, solo che da domani queste tracce smetteranno di sbiadire” obietta Francesco Campione, professore di psicologia clinica dell’Università di Bologna e direttore di Zeta, rivista di tanatologia. “Non è un pericolo, è un’evoluzione. Basterà non scambiare le tracce per persone vere. E non esagerare, passando dal nulla al troppo”. Ma, come poi nota lui stesso, in ogni impresa umana si nasconde il rischio della follia. “Per evitarlo sarà necessario che la nostra cultura faccia i conti con questa inedita forma di eternità”. Evitando così la nascita di nuove forme di iconoclastia dei dati.