Siamo più longevi, serve un nuovo welfare

29/10/2019
ARENA DI VERONA
Siamo più longevi, serve un nuovo welfare ARENA DI VERONA

A partire da che età si comincia ad entrare nella fascia “anziani”? L’asticella si sposta sempre oltre i 70 anni…

Come conseguenza dell’aumento della longevità è in atto una inedita rivoluzione qualitativa di tutte le fasi della vita, in particolare per quelle più mature. Ancor oggi la maggioranza delle statistiche sulla popolazione anziana fa riferimento ad una unica grande generica classe di età che va dai 65 anni in avanti. In realtà il concetto stesso di «anziano», è… invecchiato negli ultimi decenni, come spiego nel mio libro “Il futuro non invecchia” (Vita e Pensiero, 2018). Varie indagini mostrano come gran parte delle persone oggi non si definiscano anziane prima dei settantacinque anni. Inoltre, come altre ricerche indicano, solo dopo i 70-75 anni le abilità cognitive iniziano a decadere sensibilmente e irreversibilmente. Per chi è sotto tale soglia si tende sempre più spesso ad usare il termine di senior (o di giovane anziano).

Ancor meno gli over 65 si sentono «vecchi», termine a cui corrisponde l’idea di una persona che non solo non riesce più a dare un contributo alla società ma che richiede aiuto per svolgere le proprie attività quotidiane. Solo dopo gli ottantacinque anni la condizione di non autosufficienza diventa prevalente.

In Veneto, e probabilmente non solo, sale e salirà il numero di over 75 e anche di over 85, calano e caleranno i residenti, anche a causa del crollo della natalità. Chi si occuperà di questi anziani?

L’Italia è uno dei paesi al mondo con maggior invecchiamento della popolazione, come conseguenza non solo della longevità, aspetto positivo in sé, ma della persistente denatalità che accentua il peso degli anziani rispetto alla popolazione giovane e adulta. Il Veneto ha una incidenza simile alla media nazionale, ma le grandi città tendono ad avere una struttura più sbilanciata verso le età anziane. Non fa eccezione Verona che presenta tre punti percentuali in più di over 65 e uno in più di over 85 rispetto al dato regionale.

Se prima dei 75-80 anni le persone tendono ad essere ancora in maggioranza attive, quindi una risorsa (per la società, per l’economia e per le reti familiari), dopo gli 80-85 prevale la necessità di ricevere aiuto. Finora in Italia alle necessità degli anziani non pienamente autosufficienti ha risposto la famiglia e il “welfare fai da te” delle cosiddette “badanti”, ma tale modello è in forte crisi e tensione. Alla crescita della domanda di aiuto corrisponde anche una diminuzione dell’offerta, perché ci sono meno figli, perché più che in passato spesso vanno a vivere lontano, e perché le figlie sempre più lavorano e quindi hanno meno tempo da dedicare all’interno delle reti di welfare informale. Serve quindi una combinazione tra solidarietà familiare e servizi pubblici sul territorio, nonché uno sviluppo di servizi privati di qualità accessibili ai quali le famiglie possano rivolgersi. Ma anche uno sviluppo di strumenti di assicurazione verso i costi del long-term care e politiche di conciliazione nelle aziende per l’assistenza ai genitori anziani.

Diventeranno l’emergenza dei prossimi decenni?

L’aumento degli anziani sulla popolazione non è una emergenza, è un dato strutturale, previsto e gestibile se si prende sul serio la demografia e gli scenari che ci presenta. Diventa una emergenza quando le trasformazioni demografiche vengono subite anziché gestite e accompagnate, ovvero quando sul territorio non si mettono per tempo in campo le politiche adeguate sia per contenere il processo di invecchiamento sia per gestirne le conseguenze. Nel primo caso servono politiche di sostegno alla natalità e una immigrazione regolata e integrata. Nel secondo caso servono strumenti in grado di valorizzare tutte le fasi della vita, in primo luogo ampliando le possibilità di una lunga vita attiva e in salute, rafforzando il ruolo sociale attivo degli under 75, in secondo luogo fornendo strumenti che consentano di vivere con dignità la condizione di non autosufficienza, mettendo assieme calore umano familiare, servizi di qualità e anche il ruolo delle tecnologie abilitanti in forte evoluzione.

Secondo lei in Italia c’è una consapevolezza diffusa della questione demografica in generale e soprattutto del boom terza età che si prospetta o si naviga a vista senza alcuna programmazione?

Purtroppo l’Italia sta navigando a vista rispetto alle risposte da dare a tutte le grandi trasformazioni di questo secolo, invecchiamento e immigrazione compresi. Questo sia a livello politico centrale che locale, sia nel pubblico che nelle piccole e grandi aziende. E’ però vero che la consapevolezza sta crescendo e che alcune buone pratiche si stanno sperimentando anche riadattando misure di successo in altri paesi. L’Italia è però la punta avanzata del processo di invecchiamento in Europa, è quindi un laboratorio per la costruzione di una società più matura. Dalle scelte che faremo oggi per gestire questo cambiamento dipenderà molta della qualità del nostro futuro.