25/01/2018 | |
IL FOGLIO |
Ci sono molti punti toccati dalla rapida mappa di Sala. C’è il profilo di Milano e del suo “sviluppo silenzioso”, le fondamenta poste da Ambrogio, la dinamicità borghese, le cadute e le ripartenze. La città del 2030 con i suoi mega progetti, i problemi sociali e dell’amministrazione. Compresa la storica incapacità a una leadership politica di scala nazionale. Compresa un po’ di inevitabile retorica, o forse è orgoglio, per la svolta determinata non solo come immagine a Expo – in realtà la ripresa di Milano dopo le due grandi crisi, Tangentopoli prima e la crisi del 2008 era iniziata prima – oppure per il “marchio” ormai globale della nuova skyline urbana. Ma lo sguardo, e il tentativo di dare allo sguardo una prospettiva politica, è quello che conta di più, nel discorso sulle città (e anche un po’ alla città) di Beppe Sala. Cita ad esempio Alessandro Rosina, demografo tra i più attenti in particolare alla questione giovanile, che scrive: “Non è chiaro se Milano giocherà da sola o se costruirà un modello di sviluppo di connessione con grandi città europee o se si farà portavoce avanzata del contesto nazionale. Se sarà capace di trascinare dietro il resto dell’Italia, il che è verosimile, ci saranno conseguenze positive per tutto il paese”. “Ma proprio ora è il momento di interrogarsi sul tema fondamentale del rapporto tra Milano e l’Italia”. Ci sono altre cose, che si potranno seguire con una mappa più dettagliata. C’è soprattutto quest’idea forte, della necessità di un’architettura politica e istituzionale (no archistar) necessaria a livello nazionale per il secolo nuovo.