02/10/2019 | |
IL FOGLIO |
Il rischio di trovarsi davanti a una generazione “senza voce” Alessandro Rosina lo aveva già denunciato nel 2009 con il suo saggio “Non è un paese per giovani” (che, per l’appunto, aveva come sottotitolo “l’anomalia italiana: una generazione senza voce”). Un testo che si apriva con una citazione di Edmondo Berselli: “A lungo si è detto che con il debito pubblico stavamo ipotecando il futuro dei nostri figli. Evidentemente non bastava: noi siam fatti così, le nuove generazioni ci piace rapinarle”.
Sono trascorsi dieci anni. L’Italia non cresce e continua a discutere del peso del proprio debito pubblico. I dati sull’occupazione e le continue riforme del sistema pensionistico ci mostrano che il “futuro dei nostri figli”, probabilmente, è stato più che ipotecato. Nel frattempo, però, i giovani scendono in piazza, organizzano cortei per “salvare il pianeta” e qualcuno (Enrico Letta su Repubblica) lancia la proposta: diamo il voto ai sedicenni. Luigi Di Maio applaude: “Discutiamone subito in Parlamento, perché queste sono le riforme costituzionali che cambiano le prospettive di un Paese e che ci spronano a fare sempre meglio”. Anche Giuseppe Conte concorda: “Abbassare la soglia per votare a 16 anni per me va benissimo. Ci sta. In altri ordinamenti già lo fanno. Non è iniziata ancora una riflessione di governo ma potremmo farla: anzi forse sarebbe più utile che la si facesse in sede parlamentare”. E Nicola Zingaretti non è da meno: “Sono da sempre favorevole al voto ai sedicenni. La passione civile di tante ragazze e tanti ragazzi che incontro tutti i giorni rafforzano questa idea. Ora è tempo!”. Ma è veramente la riforma di cui il paese ha bisogno?