Rinunciare al posto fisso per una vita migliore: le “grandi dimissioni” mostrano che il lavoro non è tutto

04/06/2023
L'ESPRESSO
Rinunciare al posto fisso per una vita migliore: le “grandi dimissioni” mostrano che il lavoro non è tutto L'ESPRESSO

«Nella vita ci devono essere l’amore e il lavoro», diceva Sigmund Freud. In questa fase storica – dopo la pandemia e con una guerra che angoscia – sembra prevalere il primo. Almeno stando alle macroscopiche cifre della “Great resignation”, dai 40 milioni di americani che hanno lasciato il lavoro fra la primavera del 2021 e quella del 2022 in coincidenza con la ripresa economica dopo il Covid, fino ai 3.322.000 italiani, il 36% in più dei dodici mesi precedenti.

È quest’ultimo, fornito dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps, il dato più sorprendente. È vero che in questa cifra rientrano i licenziamenti (poco più di 400 mila) che erano stati congelati durante la pandemia, ma il fenomeno è comunque senza precedenti. Che fine ha fatto l’Italia del posto fisso, dei concorsi iperaffollati, della peggior disoccupazione del G-7? L’Italia delle raccomandazioni e delle clientele?

«Non restiamo agganciati a vecchi stereotipi», avverte l’economista Innocenzo Cipolletta, che nella sua lunga carriera è stato tra l’altro direttore generale della Confindustria. «Certo, non è come in America dove è facilissimo cambiare occupazione, ma il mercato del lavoro in Italia è migliorato, è diventato più efficiente e flessibile. E intanto le aziende si sono organizzate, a partire dalle maggiori, per offrire condizioni di lavoro più sopportabili e adeguate ai tempi. Rimane il problema dei bassi salari privati e pubblici, ma questa è una realtà difficile da scardinare».

Insomma, non c’è solo il lavoro, ci sono la famiglia, la vita privata, lo smart working. E il basso salario è, in Italia come in America, solo uno dei motivi della “grande dimissione”. «È come se l’esperienza del tutto inusitata del lockdown, visto che ha dato a tutti più tempo per riflettere – spiega Domenico De Masi, padre nobile dei sociologi del lavoro italiani – abbia acceso un faro sulle insoddisfazioni, le frustrazioni, i cattivi rapporti con i capi, tutto quello che non andava nel lavoro, e abbia fatto dire: ma sì, corro il rischio di lasciarlo questo posto». E poi, sorpresa nella sorpresa, quasi tutti ne trovano un altro, di lavoro: la disoccupazione, comunica l’Istat, è scesa dal 10,1% dell’inizio del 2021 all’8% del febbraio 2023.

È aumentato però anche, pessima notizia per i conti pubblici, il numero dei pensionati, visto che in tanti hanno colto l’occasione per chiudere anticipatamente l’esperienza lavorativa, elemento centrale della “grande dimissione”: «Ci stiamo avvicinando pericolosamente, anzi secondo l’Ocse l’abbiamo già raggiunto, al rapporto 1:1, un lavoratore per ogni pensionato, quando negli anni ’60 il rapporto era 1:6», commenta Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e Statistica sociale alla Cattolica.

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