08/11/2017 | |
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. Fino a metà anni 70 il tasso di fecondità in Italia era rimasto sopra i 2 figli per donna, ma nel 1995 era sceso al livello di 1,19, e c’è chi, come il demografoAlessandro Rosina, dell’Università Cattolica, ha mostrato la specularità del declino della natalità con il progresso del debito pubblico durante gli spensierati anni Ottanta. Nel decennio successivo, in contemporanea con le misure per il risanamento dei conti finalizzate all’ingresso nell’euro, la natalità è lentamente tornata a salire fino a raggiungere nel 2010 il livello di 1,46 figli per donna. Una ripresa durata poco: il nuovo e decisivo colpo al tasso di fecondità, oggi sceso a 1,34 figli, è stato assestato dalla crisi economica, che ha portato alla caduta dell’occupazione e, per un certo periodo, alle tensioni sugli spread e al logoramento delle prospettive di stabilità dei conti pubblici.
È nello scenario attuale di relativa calma, dovuta alle recenti riforme e alla politica monetaria della Bce, che in Italia si sta tornando a parlare di “sconti” sulle pensioni. Tra opportunità e qualche rischio. Perché se il tasso di fiducia in un Paese si misura anche dalla vitalità della sua popolazione, ad aver sottratto porzioni di speranza alle generazioni più giovani non sembra essere stata l’insicurezza previdenziale, quanto la carenza di competenze adeguate, la fragilità dei percorsi di formazione, il legame debole tra scuola e lavoro, le prospettive incerte sulla tenuta dei conti pubblici. L’ultimo rapporto dell’Ocse sulla “National skills strategy” ha rivelato che il 40% degli adulti italiani ha bassi livelli di competenze linguistiche e matematiche, più della media degli altri Paesi, al 27%; che il 21% dei lavoratori ha competenze inferiori a quelle normalmente richieste; che solo il 35% dei giovani italiani, contro una media del 50%, si iscrive all’Università.
Di fronte a queste cifre l’Ocse ha invitato Roma a dare piena attuazione a riforme come la Buona scuola e il Jobs act per migliorare i percorsi di formazione, aumentare le risorse per le politiche attive nel mercato del lavoro, l’istruzione, la formazione professionale, per incrementare i percorsi di alternanza scuola-lavoro. L’idea di concentrare molti più sforzi sui limiti del sistema formativo emerge da un altro rapporto, ancora dell’Ocse, che dimostra come il nostro sistema pensionistico mantenga intatta tutta la disuguaglianza conosciuta nella vita lavorativa. Giovani poveri oggi, cioè, saranno al 100% poveri anche domani. Il consiglio? Investire sui bambini, nelle opportunità di apprendimento e di formazione già dai primi anni di vita. È questa la migliore assicurazione per un futuro previdenziale sereno, più delle riforme che anticipano l’età per il ritiro.