02/10/2019 | |
LA REPUBBLICA |
Ambientalista, europeista, movimentista. L’identikit del nuovo elettore italiano, se la proposta Letta diventerà realtà, è questo. Il profilo di un adolescente più evoluto e informato rispetto al passato, grazie alle nuove tecnologie, anche se non necessariamente più autonomo. È il ritratto del cittadino di un mondo nuovo che vive con crescente sofferenza il divario generazionale: non solo perché gli anziani, per dirla con Greta Thunberg, rubano il futuro. Ma perché sono, semplicemente, maggioranza: e dunque prendono le decisioni. Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale alla Cattolica di Milano, snocciola i dati del gap anagrafico: «All’inizio del ventunesimo secolo, cioé solo diciannove anni fa, gli over 65 erano 10,6 milioni e i giovani fra i 18 e i 34 anni erano 13,4 milioni. Oggi quei numeri si sono ribaltati: gli ultrasessantacinquenni sono 13,8 milioni e gli under 34 che hanno diritto di voto 10,7 milioni». Insomma, l’abbassamento della soglia dell’età per votare sarebbe quasi un risarcimento per l’attacco demografico in corso. «Magari glielo dobbiamo, a questi ragazzi – dice Rosina –. E si badi, qui non discutiamo di aumentare il peso elettorale dei giovani ma di evitare che si accentui la loro perdita di peso alle urne ». E a questo punto si tratta di entrare nel corpaccione del nuovo, possibile, esercito di aventi diritto al voto. Più che un esercito, in realtà, un plotone: 1,1 milioni di “reclute”, equamente ripartiti fra uomini e donne. Inciderebbero appena per il due per cento sul totale degli elettori. Fabrizio Masia, direttore di Emg Acqua, fa meglio i conti: «La forza politica che si dimostrerà più amata da questi giovani – dice Masia – potrà ricavarne al massimo un vantaggio elettorale pari allo 0,3 per cento. È più o meno lo stesso valore, nelle urne, degli italiani all’estero. Ma il punto, ovviamente, non è questo: bisogna capire quanto il beneficio dell’elettorato attivo sia gradito o imposto a questi ragazzi».
Non esistono rilevazioni sulle preferenze dei non maggiorenni e dunque si può soltanto intuire l’orientamento politico degli esponenti della generazione 16. Sappiamo, infatti, come hanno votato alle Europee gli elettori solo un po’ più grandi (18-29 anni). I dati Demos dicono che quattro partiti, in quella fascia d’età, hanno conquistato una percentuale più alta rispetto a quella facomplessiva: sono i 5 Stelle (19,4 contro il 17,6 di lista), la Sinistra (4), +Europa (4,7) e Verdi (3,6). Anche se, in assoluto, il consenso green più robusto l’hanno ottenuto il Pd (20,1 per cento) e la Lega (28): entrambi, però, mantengono lo zoccolo duro fra chi ha più di 55 anni.
Fatto è che il voto ai sedicenni trova consensi quasi unanimi. Anche fuori dalla politica. «Il problema di una mancanza di rappresentatività dei giovani esiste. Ed è ancora più rilevante – dice Rosina – perché oggi le decisioni più importanti riguardano il loro mondo: l’ambiente, l’innovazione tecnologica. È sacrosanta l’estensione dell’elettorato attivo, accompagnata da lezioni di diritto di cittadinanza nelle scuole e cominciando con le elezioni amministrative ». Anche il costituzionalista Fulco Lanchester dice che «la proposta di Letta è da considerare utile. Già una volta, in Italia, i non maggiorenni furono portati alle urne: accadde nel 1919, con il coinvolgimento di chi aveva fatto la guerra pur non avendo 21 anni. Oggi i giovani non sono autonomi? Mi permetta una battuta: lo sono invece molti politici eletti?». Frenano a sorpresa i presidi: «I sedicenni di oggi sanno più cose dei coetanei di qualche anno fa, hanno entusiasmo e sono impegnati. Ma la possibilità di votare non può prescindere dalla maggiore età», sostiene Antonello Giannelli, presidente dell’associazione di categoria. Idea respinta a muso duro da Federico Allegretti, coordinatore degli studenti medi: «Forse qualcuno si preoccupa del risveglio di una generazione, del milione di ragazzi in piazza il 27 settembre». Il conflitto rimane: e chissà se, in ogni caso, basterà una legge a sanarlo.