24/12/2018 | |
IL SOLE 24 ORE |
L’unico provvedimento centrato sul lavoro in senso stretto varato dal governo Lega-Cinque stelle il cosiddetto decreto dignità, il pacchetto di norme che scoraggia i contratti a tempo determinato fissando dei vincoli sul loro rinnovo. L’inibizione di una tipologia di rapporto, però, non basta a sanare il problema di fondo: l’offerta di occupazione di qualità, il motore che può rimettere in salute il mercato nel suo complesso.
Finora l’effetto del decreto è stato più quello di frenare il rinnovo dei contratti (-13mila contratti a termine fra settembre e ottobre 2018, dopo sette mesi a segno più) piuttosto che favorire un robusto incremento di quelli a tempo indeterminato (+37mila fra settembre e ottobre 2017, ma a fronte di un calo di 64mila unità nel periodo agosto-ottobre rispetto a maggio-luglio 2018). «Quello che davvero serve – spiega Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica di Milano – è massimizzare la valorizzazione della formazione e del capitale umano delle nuove generazioni mettendo le aziende nelle condizioni di aumentare le opportunità offerte. È quindi l’approccio di partenza che va ribaltato». Un altro pilastro per la ricerca di lavoro dovrebbe essere rappresentato dal reddito di cittadinanza, sia pure nella versione depotenziata (ora costa “solo” 7,1 miliardi di euro, poco sotto ai 7,3 miliardi stanziati per il finanziamento all’università) uscita dai negoziati con Bruxelles. Anche qui, però, Rosina evidenzia un errore di prospettiva: per come è stato configurato, l’assegno assomiglia a una politica più passiva che attiva, più vicina al sussidio che alla promozione attiva del lavoro. «Non si deve partire dal promettere assistenza economica a chi risulta non occupato – dice Rosina – ma dal rafforzamento dell’intera transizione scuola-lavoro (che su alcuni punti viene addirittura indebolita)».