Paese azzopato. Stiamo sprecando una generazione

06/10/2017
Paese azzopato. Stiamo sprecando una generazione IL MESSAGGERO

Professor Rosina, poca competenza tra gli adulti e pochi laureati tra i giovani. Che termometro è?
«È il segnale che l’Italia sta scivolando verso il basso, non sta formando né incoraggiando le competenze vere che servono per affrontare le sfide del lavoro che cambia e del processo di crescita di questo secolo» spiega Alessandro Rosina, docente di Demografia e statistica sociale all’Università Cattolica di Milano.
In che modo un deficit di competenze frena la crescita?
«Incide per due motivi. Il deficit di competenze avanzate non consente al sistema produttivo di essere competitivo e la mancanza di competenze adeguate fa sì che non riusciamo a impiegare al meglio la forza lavoro. E il sistema economico cresce di meno».
C’è anche la scarsa richiesta di competenze dalle imprese. 
«In uno slogan, esprimiamo bassa domanda di giovani di qualità perché valorizziamo poco il capitale umano delle nuove generazioni. Non abbiamo strumenti efficienti di incontro tra domanda e offerta di lavoro. I dati Istat lo confermano: in larga parte si trova ancora lavoro su segnalazione e conoscenza. Serve un rilancio dei servizi per l’impiego».
C’è un problema di raccordo tra lavoro e formazione? 
«Assolutamente: non riguarda solo i laureati, ma anche le scuole secondarie. Ci sono due paradossi. Il primo è che formiamo di meno. L’altro è che ci troviamo con giovani ben formati ma sotto inquadrati. E ci sono lavori che non incrociano disponibilità di personale».
Un sistema al ribasso?
«Chi è più in alto si adegua, chi è più in basso resta fuori. Non abbiamo un sistema che formi alte competenze, non abbiamo un sistema produttivo che le valorizzi e non abbiamo un sistema che faccia incrociare domanda e offerta. I giovani che hanno alto potenziale riescono a formarsi bene: chi va all’estero è molto apprezzato, perché lì il capitale umano viene valorizzato. Ma c’è una parte di giovani che non riusciamo a formare bene, per le famiglie o perché il sistema non aiuta a coniugare apprendimento teorico e pratico».
Il sistema va ripensato?
«Ha bisogno di un potenziamento. Il grande numero di neet dimostra che non stiamo trasformando le nuove generazione in risorsa per il Paese. Da qualche anno cerchiamo di andare nella direzione giusta (e cita tra gli esempi l’alternanza scuola-lavoro, ndr), ma non basta iniziare».
Emerge anche un Paese di squilibri, per donne inoccupate e un Sud indietro. 
«Una cosa che ci azzoppa è la dispersione scolastica alla secondaria, in particolare nel Sud per i maschi. Poi manca un sistema di orientamento adeguato, che aiuti a scegliere a 15-16 anni, in base a capacità e prospettive a 5-10 anni. Le ragazze si formano di meno su materie scientifiche e tecniche e questo le penalizza. Ma pesano anche resistenze culturali e difficoltà di conciliazione lavoro-famiglia».