11/09/2017 | |
IL SOLE 24 ORE |
Da un lato, appena il 25,6% dei ragazzi tra 25 e 34 anni ha un titolo accademico in tasca (penultimi in Europa a un soffio dalla Romania). Dall’altro, però, molte aziende faticano a coprire i posti per laureati: su circa 120mila posizioni aperte da luglio a settembre dove la laurea è considerata un requisito indispensabile, le difficoltà di reperimento – secondo il sistema informativo Excelsior di Unioncamere – sono segnalate in oltre un caso su tre, innanzitutto per mancanza di candidati (18%), ma anche per inadeguatezza degli stessi (15%).
I laureati italiani, insomma, sono pochi e spesso con un curriculum poco spendibile, tanto che il tasso di occupazione è del 67%, 17 punti sotto la media europea, e la disoccupazione sfiora il 14%, più del doppio rispetto alla Ue. Tra quelli che lavorano, poi, in molti svolgono un’attività non in linea con il proprio percorso di studi o per la quale è sufficiente il diploma, con un contratto di primo impiego atipico in oltre un caso su tre (35,4%, come ha ricordato il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, in una recente audizione alla Camera).
«A pesare sui ragazzi è lo scarso orientamento formativo – commenta Alessandro Rosina, direttore del dipartimento di Scienze statistiche della Cattolica di Milano e curatore del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo – e un basso sviluppo di competenze tecniche e trasversali. Alto, infatti, è il numero di quelli che, potendo tornare indietro, sceglierebbero un corso diverso».
Le statistiche ci dicono che sono quasi 250mila i laureati occupati, circa il 25% di quelli nella fascia 25-34 anni, che svolgono un lavoro “disallineato” rispetto al percorso di studi fatto (per esempio, l’archeologo che si occupa di vendite). Secondo le elaborazioni del centro studi Datagiovani per Il Sole 24 Ore, la situazione è peggiorata nel giro di dieci anni, con un incremento di 6 punti percentuali rispetto al 2007 di coloro che svolgono un’attività non attinente al curriculum.
Il record negativo si riscontra tra i graduati in materie umanistiche (nel 53% dei casi non c’è abbinamento tra studi e lavoro), tra i dottori in scienze naturali il mismatch scatta in un caso su tre, mentre all’opposto per farmacisti, medici e infermieri il mix è quasi perfetto (appena il 10% risente di mismatch).
Il club degli overeducated, invece, conta addirittura 300mila iscritti, il 26% dei laureati. Si tratta di giovani che occupano una posizione lavorativa per la quale basta un titolo inferiore a quello che hanno conseguito. Un ruolo che potrebbe anche essere in linea con gli studi fatti – per esempio, un laureato in economia assunto come impiegato commerciale –, ma per il quale la laurea è un “surplus”. Pure in questo caso il trend è in peggioramento rispetto al periodo pre-crisi, quando la quota di sovraistruiti era più bassa di cinque punti percentuali (al 21%).
Il fenomeno è più ampio tra le donne (29%) rispetto agli uomini (21%), forse anche per il fatto che è più frequente che le ragazze si siano iscritte a percorsi di studio che hanno meno sbocchi sul mercato del lavoro. Si registra infatti – come sottolineano i ricercatori di Datagiovani – una notevole eterogeneità a seconda dell’indirizzo: tra il massimo del 36% di overeducated tra i laureati in scienze sociali e il minimo dei medici (10%), si passa per il 32% di chi ha conseguito un titolo in discipline umanistiche e il 22% dei dottori in scienze naturali.
«L’overeducation – conclude Rosina – combinata con il prevalere di bassi titoli di studio tra i giovani è il frutto di una spirale negativa che sta vincolando al ribasso le possibilità di crescita del Paese e la messa a valore del capitale umano delle nuove generazioni, anche a causa degli scarsi investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione».