04/11/2016 | |
VITA |
«Il problema è dove li becchi? Non sono nel radar delle politiche del lavoro, non sono in giro, sono in casa: come fai a raggiungerli? Dobbiamo trovare strade nuove per andare ad acchiapparli»: così, in maniera franca e diretta, questa mattina Sergio Urbani – direttore generale di Fondazione Cariplo – ha aperto la seconda giornata di lavoro di Neeting, il primo convegno nazionale sui Neet. E ha aggiunto: «Non possiamo permetterci che passino due generazioni prima che riusciamo a fare qualcosa di impattante».
I contorni numerici dei Neet, ovvero di quei giovani che non studiano e non lavorano, sono ormai drammaticamente noti: 2,4 milioni in Italia. Il costo di questo potenziale non utilizzato è – dal punto di vista strettamente economico – pari a 36 miliardi di euro, il 2% del Pil italiano (Eurofound). La nuova indagine “Rapporto giovani”, svolta a ottobre 2016 su un campione di 5200 giovani, scava però in profondità e dice la necessità di disaggregare quel dato, perché dentro i Neet ci sono realtà, condizioni, bisogni e possibilità di attivazione molto diversificate. C’è, per esempio, chi è uscito precocemente dal sistema di istruzione e formazione, ma pure chi ha una laurea: ovvio che i problemi, le aspettative e le strategie saranno diverse per loro.
Intenso l’intervento di Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinatore del Rapporto Giovani. Eccolo in sintesi.
«Una società cresce quanto più investe sull’adeguato apporto qualitativo e quantitativo delle giovani generazioni. Se il futuro è una casa comune da costruire, i mattoni più preziosi sono le nuove generazioni. Noi però con questi mattoni abbiamo tre problemi: ne abbiamo pochi (denatalità), di questi pochi, molti li perdiamo perché li regaliamo ad altri paesi (expat), di quelli che restano, molti li sprechiamo (i neet). I Neet infatti sono l’indicatore dello spreco del potenziale delle generazioni e in Italia purtroppo questo indicatore raggiunge valori più alti che in altri Paesi.