11/04/2023 | |
CORRIERE 25 ORA - 11 Aprile 2023 |
Gli ultimi indicatori demografici pubblicati dall’Istat non sorprendono affatto Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano. Da anni lui e il demografo dell’Università di Bologna Roberto Impicciatore riflettono sul problema dell’invecchiamento della popolazione e della bassa fecondità, e ne discutono a lungo anche nel saggio Storia demografica d’Italia, uscito nel 2022 per Carocci.
Il nostro inverno demografico rischia di diventare «irreversibile». L’Italia, ricorda, supera il punto di non ritorno nel 2014 quando la popolazione smette di crescere. Dalla metà degli anni ‘80 la fecondità è in calo. Ora resta ferma a 1,24 figli per donna. Per ottenere un equilibrio generazionale, spiega il professore, il numero dei bambini dovrebbe essere almeno uguale a quello dei genitori. Eppure i numeri continuano a diminuire progressivamente e «da qui in avanti sarà sempre peggio».
«Per invertire la tendenza e quindi diminuire gli squilibri tra generazioni, bisogna aumentare le nascite. Si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente, oggi i benefici immediati possono arrivare dall’immigrazione», dice. La sua previsione per il futuro resta pessimistica: «Nel 2050 il baricentro della popolazione più numerosa si sposterà. L’italiano medio non avrà più 55 anni, ma 75. Se non attiviamo politiche per far restare i giovani, le nascite caleranno ancora e sarà un problema anche garantire le pensioni».
Nel 2008, lo stesso Rosina conia un nuovo termine per indicare la perdita della forza lavoro portata avanti dalla gioventù: «Degiovanimento». Treccani lo definisce «la progressiva penuria di giovani». Il potenziale dei ragazzi e delle ragazze che il Paese rischia di non valorizzare riguarda sia i cervelli in fuga all’estero, sia i neet (under 35 che non lavorano, non studiano e non frequentano corsi di formazione) che in Italia superano i tre milioni.