Nascite. Il declino si può fermare

23/01/2022
Nascite. Il declino si può fermare VITA - Avvenire

Una denatalità persistente da oltre 30 anni sommata a politiche pubbliche che non aiutano i giovani e famiglie ha portato in Italia un inverno demografico molto pesante. Non tutto però è perduto, siamo ancora in tempo per «mettere le basi per una solida inversione di tendenza», dice a Vita Nuova Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia e statistica sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel recente volume Crisi demografica. Politiche per un Paese che ha smesso di crescere (Vita e Pensiero, 2021) ha spiegato che la ripartenza dopo la pandemia, accompagnata da risorse nuove e da un piano di politiche familiari ispirato alle migliori esperienze europee può ridare linfa al Paese nonostante i dati Istat siano molto preoccupanti.

Professor Rosina, nel 2020 i nati sono stati 404.892 (- 15mila sul 2019), nel 2021 i dati provvisori gennaio-settembre dicono che le minori nascite sono già 12mila e 500. Come siamo arrivati a questo punto?

C’è un numero di riferimento, ovvero il numero di figli per donna. Quando è a 2 vuol dire che c’è equilibrio tra nuove e vecchie generazioni. L’Italia è scesa sotto quel livello a fine anni ‘70. Non solo, a metà degli anni ‘80 è scesa sotto 1,5 (nel 2020 era 1,44, ndr) e non è più risalita sopra. È da oltre 35 anni che l’Italia è in crisi demografica, ovvero che ha un numero di figli più vicino a 1 che a 2, compatibile con un dimezzamento, in prospettiva, nel passaggio da una generazione all’altra. Non solo siamo uno dei Paesi con più bassa fecondità, ma anche con persistente più bassa fecondità.

Ma la speranza di invertire la rotta c’è? Possiamo avere ancora una speranza?

Abbiamo ancora un’ultima possibilità. Ovviamente ora dobbiamo fare molto di più rispetto a ciò che non abbiamo fatto in passato: anziché essere il Paese con politiche per giovani e famiglie più debole in Europa, dobbiamo dimostrare di essere quello che realizza politiche  all’altezza degli altri Stati europei. La denatalità persistente da oltre 30 anni riduce anche le donne in età riproduttiva e questo significa che le nascite diminuiscono anche per questo motivo. Ma ci sono tre elementi positivi che potrebbero fare la differenza in questo momento.

Quali?

Il primo è che la pandemia ha prodotto una discontinuità rispetto alla situazione precedente. Ha messo il Paese davanti ai suoi limiti, ai suoi squilibri, alle disuguaglianze e ora vuole un percorso nuovo con un clima sociale positivo e politiche strutturali di lungo periodo. L’uscita dalla pandemia può produrre una ripresa di vitalità del Paese purché questa si agganci ad altri due elementi positivi: un vero sviluppo economico che crei nuove opportunità e la messa in pratica del Family Act. Le nuove opportunità possono derivare dal Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, e dal Next Generation Eu. Questi strumenti  sono paragonabili agli aiuti del Piano Marshall del secondo dopoguerra, il tempo è diverso, però le condizioni possono essere simili e non si può più avere l’alibi della mancanza di risorse come avveniva in passato. Con il Family Act, anche se non ancora realizzato, abbiamo un pacchetto di politiche integrate e sistemiche che si ispirano alle migliori esperienze europee. L’assegno unico  universale è da potenziare dal punto di vista economico, ma è uno strumento solido che dura nel tempo e va a tutti; l’investimento sui servizi per l’infanzia va nella giusta direzione per dare un posto a ogni nuovo nato; abbiamo portato il congedo di paternità a 10 giorni pagati al 100 per cento, possiamo arrivare almeno a un mese. Ci sono tutti i presupposti per mettere le basi per una solida inversione di tendenza.