L’esempio dei ventenni più dosi che ai cinquantenni “più immuni” alle fake news

28/01/2022
L’esempio dei ventenni più dosi che ai cinquantenni “più immuni” alle fake news REPUBBLICA

Non è la paura della malattia a spingerli verso il vaccino, perché se si infettano non rischiano gravi conseguenze. Non sono nemmeno le misure restrittive, come l’obbligo del Green Pass per lavorare, perché non li riguardano. Piuttosto a muoverli è il desiderio di riprendere in mano la propria vita e soprattutto di incidere per migliorare il mondo che verrà. La campagna vaccinale sta insegnando qualcosa su quanta distanza ci sia in questa difficile fase storica tra il modo di pensare dei giovani e quello degli adulti.

I ventenni che non hanno fatto nemmeno una dose sono il 7,4%, un dato che scende sotto al 6% se non si conta chi ha avuto l’infezione negli ultimi sei mesi. I cinquantenni senza somministrazioni sono il 9,7%, tolti i positivi si scende all’8,5%. E questo malgrado i rischi di sviluppare una forma grave di malattia e malgrado la legge sull’obbligo.

La prima differenza tra ventenni e cinquantenni nell’approccio alla vaccinazione la spiega Davide Bennato, sociologo dei media digitali dell’Università di Catania. «I ragazzi parlano della vaccinazione su TikTok o Instagram senza contrapposizioni, in genere sono a favore. La pandemia per loro ha rappresentato un tale cambiamento della socialità, da spingerli a fare qualcosa in prima persona per ridurne l’impatto. I cinquantenni sono più cinici e distaccati rispetto al problema», e litigano tra loro con toni anche pesantissimi sui social. C’è anche una questione generazionale, dice Bennato.

«I ventenni vivono in una società che li ha dimenticati, non sono sulla scena pubblica ma vorrebbero entrarci, per questo ha avuto successo il movimento Fridays for future». Il demografo Alessandro Rosina della Cattolica di Milano porta più avanti il concetto: «In un mondo che cambia, i ragazzi, che sono oltre le ideologie, si vogliono porre come parte attiva delle soluzioni, perché hanno tutto quel mondo da vivere».

Parla di responsabilizzazione Matteo Lancini, psicologo psicoterapeuta presidente della fondazione Minotauro di Milano, che si occupa di adolescenti e giovani adulti. «Hanno capito la situazione e appena è stato possibile vaccinarsi lo hanno fatto. Si tratta di una generazione molto legata ai nonni, che magari li hanno accuditi quando erano piccoli». Visto che gli anziani sono i più fragili di fronte al virus, i nipoti si sono protetti anche per loro. «Per i ventenni — aggiunge Lancini — le restrizioni hanno comportato un grosso sacrificio. Si è parlato soprattutto delle scuole ma anche gli universitari hanno sofferto. Volevano ripartire e non tanto e non solo per andare a divertirsi ma proprio per far ricominciare la socializzazione». Per Matteo Atticciati, 23 anni, iscritto a Scienze politiche a Firenze, «il vaccino è la cosa migliore per proteggere me e chi mi sta attorno.

Volevamo dimostrare responsabilità in un momento di crisi. Conosco pochi non vaccinati. Hanno paura, non ne fanno una questione politica o ideologica». E i cinquantenni? Secondo Alessandro Rosina «alcuni possono aver maturato insoddisfazione e frustrazione rispetto alla realtà in cui vivono. Non accettano le regole di un mondo in cui non si riconoscono già per altri motivi. Insoddisfazione sociale e personale fanno maturare una forma di resistenza. I giovani invece non si vogliono contrapporre al mondo che cambi. Vogliono capirlo e sperimentarlo».