12/05/2017 | |
IL GIORNALE ED.MILANO |
Che esista una frattura tra i giovani e il sindacato è cosa nota, ma si sbaglierebbe a pensare che le nuove generazioni non desiderino rappresentanza, perché anche se vedono i limiti dei sindacati, contano in un rinnovamento che tenga conto anche delle loro esigenze e non solo dei lavoratori più maturi. Così tra i 20 e i 34 anni temono, più che i migranti, le persone che continuano a lavorare fino a età da definirsi e le nuove tecnologie. E poi sembrano disponibili a penalizzare il tempo libero e la possibilità di andare d’accordo con i colleghi per guadagnare abbastanza da progettare un futuro.
Sono alcuni risultati del focus su «Giovani, lavoro e rappresentanza», promosso dalla Fim Cisl Lombardia e condotto dall’Istituto Giuseppe Toniolo a febbraio 2017 su un campione nazionale di 2000 giovani dai 20 ai 34 anni, presentato al X congresso del sindacato lombardo dei metalmeccanici Cisl. Come commenta il professor Alessandro Rosina, curatore dell’indagine dell’Istituto Toniolo, docente di Demografia e Statistica Sociale all’Università Cattolica, «oltre ai cambiamenti prodotti dall’innovazione tecnologica e dall’automazione, emerge una forte preoccupazione verso gli squilibri generazionali nel mercato del lavoro e nella spesa pubblica di un Paese che invecchia. Tutto questo alimenta un’ampia domanda di rappresentanza nelle nuove generazioni che rimane ad oggi largamente insoddisfatta».
Prima di tutto, i dati macro. La percentuale di Neet, ovvero di coloro che né studiano né lavorano tra i 15 e i 34 anni, è pari al 26%, oltre 10 punti sopra la media europea, e il tasso di occupazione italiano in età 25-29 risulta nel 2016 pari a 53,7%.
E veniamo alle risposte. Il 63% vorrebbe nuove modalità di rappresentanza collettiva: la metà chiede un rinnovamento degli attuali sindacati (31,7%), l’altra metà (sempre 31,7%) nuovi sindacati, capaci di rispondere alle nuove esigenze del mercato del lavoro. Se il 13% pensa che i sindacati non siano mai stati utili e non possano esserlo, il 18,2% li considera validi senza riserve. Uno su cinque (il 20,9%) li ritiene utili ma attenti soprattutto alle vecchie generazioni e ai pensionati. Enrico Civillini, segretario generale Fim Cisl Lombardia, valuta tutto sommato in modo positivo questi risultati e ritiene che «i giovani ci consegnano ancora un credito di fiducia che non possiamo sprecare».
I giovani desiderano prima di tutto un lavoro che consenta di guadagnare abbastanza per non vivere alla giornata e progettare un proprio futuro (27,9%). La realizzazione viene subito dopo (25,3%). Sono tre i a preoccuparli: invecchiamento, innovazione tecnologica e immigrazione. Il fattore di preoccupazione più importante è il protrarsi della permanenza al lavoro delle generazioni più anziane (73%). L’impatto delle nuove tecnologie preoccupa oltre il 60%, a prescindere dal titolo di studio.
La concorrenza degli immigrati è indicata da poco più della metà degli intervistati (52,5), e però il timore risulta pari al 65% per chi ha solo la scuola dell’obbligo e si dimezza (33%) tra i laureati. Rilevante, anche se un po’ più ridotta, la relazione del titolo di studio con i rischi di posti di lavoro bruciati dall’innovazione tecnologica (e in particolare dall’automazione dei processi produttivi): si passa dal 64% di persone abbastanza o molto preoccupate tra chi ha titolo basso al 55% per i laureati.