«L’inverno demografico è un problema serissimo per il nostro Paese», conferma il professor Alessandro Rosina, ordinario di Demografia all’Università Cattolica segnalando però il ritardo notevole dell’Italia rispetto al resto d’Europa nell’intervenire in questo campo. «La Francia – spiega – più di altri, è il Paese ha cercato di evitare di trovarsi con squilibri demografici e quindi da più lungo tempo ha attivato politiche a sostegno della natalità e delle famiglie».
Con quali risultati? «In Francia, ad esempio, la copertura dei nidi nella fascia 0-2 anni è superiore al 50% mentre l’Italia fatica ad arrivare al 30%. In altri Paesi è un diritto per un bimbo accedere ad un nido di qualità e a costi bassi, ma noi c’è invece si fatica a trovare posto e spesso si ci si rivolge al privato affrontando così costi decisamente elevati».
Qual è la soglia d’allarme? «dl livello di equilibrio nel rapporto tra generazioni è fissato a due figli per coppia. Quando si va sotto questa soglia significai figli sono meno miei genitori i miei genitori. Oggi in Francia la media è di 1,7 figli per donna mentre noi siano a 1,2, un livello davvero bassissimo».
E questo che problemi crea? «C’è un problema di longevità, che riguarda tutti i Paesi maturi avanzati, e l’Italia su questo non si distingue, che in prospettiva aumenta il costo delle pensioni e dei servizi di cura ed assistenza. Gli altri Paesi hanno fatto in modo che non si riducesse troppo la popolazione in età lavorativa, perché altrimenti hai sempre più costi e sempre meno persone che producono ricchezza che si distribuire e che quindi finanzia e far funzionare il sistema di welfare pubblico. Ma non è tutto, perché non solo noi facciamo molti meno figli di altri paesi, ma come se non bastasse da noi tanti giovani se ne vanno all’estero perché in Italia i salari sono troppo bassi e gli affitti troppo alti e non ci sono adeguate politiche di conciliazione vita e lavoro».
Meloni sostiene di aver fatto tanto. Non basta? «No, non c’è nessun cambiamento rispetto alla debolezza delle politiche familiari, generazionali e di genere che ci ha contraddistinto negli ultimi decenni. Ed è per questo che continuiamo ad avere tassi di occupazione sia giovanile che femminile e tassi di natalità tra i più bassi in Europa. Si tratta di fattori che combinati tra loro non solo ci indeboliscono sotto il profilo demografico ma riducono anche la possibilità di compensare la riduzione della popolazione in età lavorativa con l’apporto di giovani e donne».
Il governo cosa deve fare? «Bisogna agire in maniera concomitante ed integrata su tutte le leve: dobbiamo favorire la lunga vita attiva, che non vuol dire semplicemente spostare in avanti l’età pensionabile ma migliorare le condizioni di lavoro delle persone in tutte le fasi della vita. Poi bisogna aumentare l’occupazione femminile, migliorando le politiche di conciliazione, i servizi per l’infanzia, i congedi di paternità e le politiche aziendali a favore del part-time reversibile. E lo stesso va fatto per i giovani garantendo loro salari adeguati e stabilità. Ed in questo modo avremo un effetto immediato, sia sul fronte dell’occupazione (e così si risponde al problema della riduzione della popolazione lavorativa) che della natalità, mentre in prospettiva avremo meno squilibri».
E per far fronte alla carenza di manodopera già di oggi? «Per compensare gli squilibri nei settori che già oggi sono in crisi, come l’agricoltura e l’edilizia ed in parte la ristorazione ed i servizi di cura, il ruolo dell’immigrazione è fondamentale. Per questo bisognerebbe programmare meglio i flussi di ingresso che oggi sono certamente sottostimati rispetto alle effettive esigenze delle imprese, e poi bisognerebbe prevedere programmi di formazione nei Paesi di provenienza. Ma andrebbe anche migliorata l’integrazione per evitare di far trovare i giovani immigrati che vengono fa noi nelle stesse condizioni in cui si trovano oggi le nostre donne ed i nostri giovani».