Il salario minimo serve ai giovani sfruttati, ma sarà positivo per tutti

06/09/2023
Il salario minimo serve ai giovani sfruttati, ma sarà positivo per tutti LA REPUBBLICA - 6 Settembre 2023

Roma — «Il salario minimo è senz’altro una delle leve da azionare per dare un messaggio di fiducia ai giovani. Per dire che stiamo scommettendo su di loro, che non vogliamo che siano più working poor, sottopagati e sfruttati». Il demografo Alessandro Rosina, neo consigliere del Cnel nominato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, invita la politica a non «navigare a vista, a non pensare solo al consenso e alla prossima scadenza elettorale». Perché i giovani «stanno rinunciando a studiare, sono disorientati, abbandonano l’Italia». E il Paese rischia di «non uscire più dall’inverno demografico».

Professore, il salario minimo è la soluzione al lavoro povero?

«Non da solo. Ci sono le poche ore lavorate, i redditi inadeguati, l’occupazione intermittente, le politiche attive carenti. Da noi il part-time è per due terzi involontario: il contrario di quanto avviene altrove in Europa. Da una parte però bisogna cominciare. E perché non sperimentare il salario minimo in alcuni settori che tolgono dignità ai giovani e dire che non si può pagare sotto un certo livello?».

Cos’altro serve?

«Mettere al centro di tutte le politiche i giovani e le donne. Diamoci obiettivi condivisi da tutti nei prossimi dieci anni, non legati al colore politico dei governi: aumentare l’occupazione femminile e diminuire il tasso dei Neet, i giovani che non studiano e lavorano, portandoli alla media Ue. E ridurre il gap tra il numero dei figli desiderati pari a due e quelli dei figli realizzati, fermo a 1,25. Potremmo provare ad agganciare il livello di Francia (1,8) e Svezia (1,7). La popolazione non tornerà a crescere. Cerchiamo almeno di non peggiorare gli squilibri demografici INTERNI».

Perché è così importante?

«Siamo il Paese d’Europa con la percentuale più bassa di giovani al di sotto dei 30 anni: il 27%. Nell’Italia del boom eravamo sopra il 50%. La struttura della popolazione è profondamente cambiata, siamo un Paese molto anziano e si sta riducendo la coorte di giovani in grado di fare figli. Ma gli anziani hanno bisogno delle nuove generazioni per rendere sostenibile il sistema di welfare e avere una vita dignitosa. E ogni anno, ad ogni legge di Bilancio, ai giovani vanno solo le briciole. Quando invece dovremmo scommettere su chi entra ora nel mondo del lavoro e rischia di diventare un Neet, se non adeguatamente formato e accompagnato».

Questo governo punta molto sul rilancio della natalità. Ma gli interventi sembrano polverizzati in bonus e poco altro.

«Positivo l’obiettivo, ma negativo se si fanno promesse che non si mantengono. Non si può andare avanti a misure estemporanee che non rafforzano la fiducia delle coppie, non invertono la tendenza perché hanno un impatto solo a corto raggio. Mancano politiche ambiziose e sistemiche, stabili e rafforzate di anno in anno».

Perché i giovani sono sfiduciati?

«Perché la politica non investe su di loro, sulla loro formazione, sul loro futuro. Sono pagati con salari più bassi, hanno carriere intermittenti, non sono valorizzati. Non ci sono ADEGUATE politiche abitative, i servizi per il lavoro languono e così le opportunità di impiego perché non si investe in ricerca e sviluppo. E quindi o nasci nella famiglia giusta o vivi in un presente incerto e malpagato, ti accontenti di quello che trovi con grande frustrazione. Oppure vai all’estero. Questo è il conto che paghiamo continuando a comprimere gli investimenti per giovani e donne».

Da dove partirebbe nella prossima manovra?

«Investendo sulle nuove generazioni, sulla loro formazione e sulle politiche “abilitanti”: lavoro di qualità che premia la competenza e pagato il giusto così da consentire ai giovani di permettersi una casa e di avere una famiglia. La sfida è alta, la natalità è da troppo tempo a livelli molto bassi. E negli ultimi quindici anni è aumentato il rischio di povertà anche nelle coppie di under 35. Essere giovani e avere figli non può essere uno svantaggio. Nel passato si formava una famiglia e i figli arrivavano. Oggi avere i figli è una scelta non più scontata che ha bisogno di condizioni adatte per essere realizzata. Se non si investe sulle politiche di conciliazione tra vita e lavoro, sui sostegni alle donne per spingerne l’occupazione, si genera sempre meno ricchezza, si ampliano disuguaglianze e povertà. E si mettono a rischio anche gli anziani, di oggi e di domani».