30/03/2024 | |
LA STAMPA - 30 Marzo 2024 |
Alessandro Rosina, professore all’Università Cattolica di Milano e autore di una storia della demografia risponde al telefono con tono concitato. «Questi numeri sono il segno di un’emergenza nazionale, di cui nessuno sembra preoccuparsi». L’anno scorso in Italia sono nati 379mila bambini, l’ennesimo record negativo.
Lei sperava in un’inversione di tendenza?
«Difficile essere ottimisti, il numero dei nuovi nati non fa che scendere dal 2013. L’Unione europea si sta preoccupando perché la media dei figli nell’area è scesa attorno a 1,5 figli per donna. Al di sotto di due bimbi, saremo sempre meno in grado di garantire gli attuali livelli di welfare. L’Italia è un problema nel problema: siamo sotto 1,5 figli dal 1984. Quest’anno celebriamo giusto quarant’anni di una fecondità al di sotto di quel livello di allarme: in Francia e Germania il tasso oscilla fra 1,6 e 1,7 bimbi, noi siamo a 1,2».
È solo un problema di risorse o è ormai un problema culturale?
«Avere figli non è un imperativo morale. La gente fa figli se ha l’impressione di potergli dare opportunità, diversamente si crea sfiducia nella società e nelle istituzioni. Quel che è davvero più preoccupante è lo scarto fra il numero di figli desiderati e quelli effettivamente nati: siamo in fondo alla classifica a Ventisette. Le statistiche dicono che gli italiani vorrebbero avere almeno due figli, come gli svedesi o i francesi. Il gap fra figli desiderati e quelli che nascono è ciò su cui dovrebbe intervenire la politica».
Eppure la tendenza ultimamente non è favorevole nemmeno in Francia, che pure è molto più attenta di noi al tema della natalità.
«Vero, ma non appena i francesi si sono trovati di fronte al problema, è diventato una priorità della politica. Macron vuole equiparare il congedo di paternità fra uomini e donne. In Spagna lo hanno realizzato: sedici settimane per mamme e papà. Non è impossibile invertire la tendenza: basta guardare i nostri vicini».