Il debito senza freni è un’ingiustizia sociale

20/05/2024
Il debito senza freni è un’ingiustizia sociale LA STAMPA - 20 Maggio 2024

Il debito pubblico è, prima di tutto, un’ingiustizia generazionale. Quando arriva a posizionarsi su livelli molto elevati, superando la capacità di generare ricchezza misurata con il prodotto interno lordo, di fatto sancisce la rottura del patto generazionale.

Se chi è arrivato in pensione pretende giustamente come diritto che chi oggi lavora gli garantisca risorse per poter vivere bene in età anziana, dato che lui ha fatto lo stesso con le generazioni precedenti, allo stesso modo chi entra nel mondo del lavoro si attende che le generazioni andate in pensione non abbiano lasciato un indebitamento del paese che sovrasta le dimensioni dell’economia nazionale. Perché questo indebolisce la capacità di generare nuova ricchezza, rende meno stabile il sistema paese, riduce il potere di negoziazione internazionale, genera, nel complesso, uno svantaggio competitivo con le altre economie.

Tutto questo è ancor più grave se la crescita del debito pubblico da valori analoghi agli altri stati a livelli record nel mondo è avvenuta senza una spesa sociale indirizzata a promuovere le condizioni delle nuove generazioni, il loro capitale umano, il loro ruolo attivo e qualificato nei processi di sviluppo competitivo del sistema paese.

In Italia a metà anni Settanta il debito era circa la metà del pil, il numero medio di figli per donna era superiore a due (soglia di equilibrio nel rapporto tra generazioni) e l’età media in cui i giovani diventavano autonomi dalla famiglia di origine ed entravano nella vita adulta attiva era in linea con il resto d’Europa. A metà anni Novanta le tre “i” che depotenziano il ruolo delle nuove generazioni si trovano tutte su valori anomali rispetto ai paesi con cui ci confrontiamo: l’indebitamento pubblico risulta aver superato il pil; l’invecchiamento della popolazione, accentuato dalla denatalità, è tale da rendere l’Italia il primo paese al mondo in cui gli over 65 superano gli under 15; l’indipendenza dei giovani risulta quella più rinviata nel mondo occidentale.

Nei decenni successivi, anziché migliorare l’investimento collettivo sulle nuove generazioni per migliorare le capacità di crescita economica e ridurre così il peso del debito, siamo diventati un paese che ha lasciato il peso del debito diventare freno all’investimento collettivo sui giovani, riducendo così capacità di crescita economica e sostenibilità del sistema di welfare.

In particolare, carente è rimasto l’investimento pubblico su formazione, ricerca e sviluppo, politiche attive del lavoro, strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia. Ecco allora che i giovani italiani si trovano oggi, rispetto ai coetanei europei, non solo con più peso del debito pubblico, ma anche con minor scolarizzazione terziaria (sia accademica che non accademica), minori livelli di occupazione, minori retribuzioni e maggior rischio di trovarsi nella condizione di working poor, con conseguente revisione al ribasso rispetto ai propri progetti di vita.

Nel frattempo anche gli squilibri demografici sono andati ad accentuarsi: chi ha meno di 35 anni oggi farà l’inedita e complicata esperienza di vedere evolvere la propria vita lavorativa e professionale in un paese in cui le età con peso demografico più rilevante si troveranno nella fascia anziana. Avrà il compito di far crescere dal punto di vista economico e rendere sostenibile come spesa sociale, un paese con alto debito pubblico e accentuati squilibri strutturali, dovendo anche pensare al proprio futuro previdenziale.

Ma il debito pubblico per fortuna si può cancellare. Le nuove generazioni hanno trovato il modo di farlo. Sembra che basti semplicemente spostarsi altrove. Supponiamo che arrivati a 25 anni sistematicamente i giovani decidano di andarsene. Nel 2050 l’Italia si troverebbe senza la fascia dai 25 ai 50 anni. Quindi non solo con crollo della forza lavoro ma anche senza più nascite, perché mancherebbero i potenziali genitori. A rimanere sarebbero solo le generazioni che hanno portato il debito pubblico a livelli record e lo hanno lasciato ulteriormente lievitare lungo questo primo quarto di secolo. Pensiamo che tale vuoto si potrà compensare con l’immigrazione? Chi verrebbe nel nostro paese per addossarsi tali squilibri quando ha altre destinazioni in cui poter trovare migliori condizioni?

Certo, si tratta di uno scenario distopico. Ma noi potremmo essere il paese che più ci va vicino se non ricostituiamo il patto generazionale, con alla base un modello di sviluppo sostenibile in tutte le sue accezioni.