08/03/2017 | |
VITA MAGAZINE |
Se il 2015 era stato l’anno delle culle vuote, il 2016 è quello che ha messo via anche le culle. L’anno scorso in Italia sono nati 474mila bambini, 12mila in meno dei 486mila del 2015 (qui tutti i dati Istat), anno in cui avevamo raggiunto il minimo storico delle nascite dall’unità d’Italia in poi: il record negativo quindi è stato battuto, peggiorando ulteriormente. L’inverno demografico italiano si fa quindi sempre più profondo e per il demografo Massimo Livi Bacci dobbiamo tornare alla metà del ‘500 per trovare così pochi bebé, con una popolazione italiana che si assestava però a un quinto di quella attuale. Fra ieri e oggi si sono moltiplicati i commenti e i titoli allarmati, però non è una novità che la natalità in Italia sia ormai una vera e propria emergenza. Alessandro Rosina è professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, cura il “Rapporto Giovani” dell’Istituto Giuseppe Toniolo e con Sergio Sorgi ha scritto il libro “Il futuro che (non) c’è”.
Professore, oggi c’è molta preoccupazione. E poi?
Il problema è esattamente questo, si fa tanta retorica, ma poi… Il Governo deve dire o che di questo problema non gli interessa nulla o che gli interessa, ma se interessa deve affrontarlo come priorità, come non ha mai fatto fino ad ora.
Cosa intende?
Che questo deve diventare una priorità del Governo tutto, non basta un ministero che cerca in base alle risorse disponibili di mettere delle toppe. Una priorità significa individuare degli obiettivi chiari, che siano priorità di tutto il Governo e mettere le risorse che servono per raggiungerli. È un ribaltamento di prospettiva, oggi si parte dalle risorse disponibili e si vede con questi soldi cosa posso fare: vuol dire lavorare senza incidere. Prendiamo la Germania, che ha un problema di natalità simile al nostro: si è accorta che la sua carenza erano i servizi per l’infanzia – è vero che la conciliazione non è fatta solo di quello, c’è anche il discorso dei tempi, della città organizzata, ma i servizi per infanzia sono fondamentali – e negli anni di crisi ci ha investito, passando da una copertura del 14% nel 2006 al 30% di oggi. Lo ha fatto negli anni di crisi, non ha detto alle famiglie “arrangiatevi”, ma al contrario ha detto “famiglie, abbiamo fatto poco per voi prima, ora vi aiutiamo”.