Giovani, donne e migranti: impariamo a riconoscerne il lavoro

07/12/2024
Giovani, donne e migranti: impariamo a riconoscerne il lavoro LA STAMPA - 7 Dicembre 2024

 «L’Italia non è ancora riuscita a trovare un percorso virtuoso capace di generare valore, crescita e benessere nel 21° secolo. Il reddito reale calato del 7% negli ultimi vent’anni è la conseguenza di un Paese che galleggia perché schiacciato in difesa. Ci sono troppi pochi giovani e nel frattempo la denatalità sta riducendo la popolazione in età lavorativa». Secondo Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, il rapporto Censis non fa che confermare l’inedita crisi demografica in cui l’Italia si è avvitata progressivamente dall’inizio del nuovo millennio. «Abbiamo retto finché il sistema si basava su un modello tradizionale che metteva al centro la forza lavoro costituita dalla figura del maschio adulto – prosegue Rosina -. Questa componente, però, si sta riducendo sempre di più, con l’invecchiare delle generazioni nate negli anni Sessanta e Settanta, e di pari passo rallenta il motore di sviluppo del Paese».

Professore, la denatalità è una causa o un effetto del galleggiamento italiano?

«Se un Paese non riesce a mettere i giovani nella condizione di essere ben formati, ben inseriti nel mondo del lavoro e valorizzati, avrà una bassa natalità e i giovani dipenderanno a lungo dalla famiglia di origine. Anziché investire  su formazione adeguata e qualificata, ricerca e sviluppo, politiche abitative e famigliari, lasciamo che i giovani dipendano dalla ricchezza accumulata dai loro nonni e genitori».

Il Censis in questo senso parla di «imbuto della ricchezza». Perché?

«Se l’economia fa fatica a crescere si inceppa anche la mobilità sociale. Chi ha una famiglia forte alle spalle può compensare le carenze degli investimenti collettivi, chi ha “scelto male” la famiglia in cui nascere o chi ha intorno un contesto poco dinamico invece è in forte difficoltà. Siamo il Paese europeo con la più alta correlazione fra il reddito dei genitori e quello dei figli. L’unico modo per compensare questa carenza di mobilità sociale è la mobilità territoriale da Sud verso Nord o verso l’estero. Oltre a quella giovanile, poi, andrebbero sviluppate anche altre componenti».

Quali?

«Molti Paesi hanno colto positivamente le specificità del capitale umano femminile investendo sulla formazione femminile ma anche sulle politiche di conciliazione fra vita e lavoro, in modo che l’occupazione femminile si possa coniugare positivamente con la natalità. Inoltre non si fa abbastanza per sviluppare la componente legata ai migranti».

Qui il rapporto è ancora più impietoso. Oltre metà degli italiani si sentirebbe minacciata da stili di vita e culture diverse, mentre il 57% ritiene che l’identità italiana sia qualcosa di immutabile. Dove nasce questa chiusura?

«Chi è in condizione svantaggiata nei cambiamenti vede soprattutto un rischio.  Mancano politiche adeguate per affrontare i cambiamenti in senso positivo, aiutando le persone a fare scelte che contribuiscano a produrre benessere collettivo».

Se ne dovrebbe occupare la politica, ma l’altro elemento che emerge dal rapporto è che il ceto medio si sta ritirando dalla vita pubblica. Ad esempio è aumentato l’astensionismo elettorale…

«È un altro paradosso. È un Paese in cui ciascuno pensa di minimizzare i propri rischi anziché partecipare alla costruzione di opportunità collettive da cogliere».

C’è un legame con il  crescente fastidio per il politicamente corretto?

«In qualche modo sì. Quando le persone percepiscono delle difficoltà oggettive diventano insofferenti verso gli aspetti formali in cui non vedono alcuna sostanza. Nelle questioni di rilievo contano le risposte che dai, non il linguaggio che usi».

Da questa fotografia si comprende molto bene come mai il generale Roberto Vannacci abbia ottenuto oltre mezzo milione di voti. Cosa ne pensa?

«Quando non si riesce a far ragionare un Paese su ciò che serve davvero, quello che rimane è la possibilità di parlare alla pancia e di fornire iper-semplificazioni della realtà. Magari funzionano elettoralmente, ma non affrontano le sfide vere. L’immigrazione è un esempio perfetto: se non sai gestirla adeguatamente, spiegando perché ci serve, come migliorarla e come trasformala da emergenza in parte attiva per lo sviluppo dell’Italia, è più efficace chi cavalca l’idea che l’immigrazione produca solo maggiore insicurezza».