Lei studia la condizione dei giovani italiani da oltre un decennio. E’ del 2009 il suo libro “Non è un paese per giovani” e negli anni successivi, quelli della crisi, sappiamo in Italia che la situazione si è fatta ancora più grave. Già dal 2006 ha iniziato ad aumentare il numero di italiani che emigrano all’estero, con un ritmo di circa 70.000 tra laureati e diplomati ogni anno. Cosa era in nuce già prima della crisi, cosa è successo in questi 10 anni e come guarda al futuro una società dove i giovani sono così vulnerabili quando non ultimi e penultimi?
Questo ha fatto crescere la sfiducia dei giovani verso politica e istituzioni e deteriorato le loro attese positive verso il futuro. Una condizione che li ha schiacciati ulteriormente in difesa, con aumento della propensione a cercare maggiori opportunità altrove e, per chi è rimasto, ad adattarsi maggiormente al ribasso a quanto il mercato offriva, contando maggiormente sull’aiuto dei genitori e rinviando ancor più scelte di autonomia e formazione di una propria famiglia. Insomma una generazione intrappolata in un presente insoddisfacente o in fuga. A testimoniarlo sono i dati dell’enorme crescita dei Neet (under 35 che non studiano e non lavorano) e del saldo negativo tra laureati (e non solo) che lasciano il paese e quelli che (ri)attraiamo. Entrambi questi indicatori si sono posizionati su livelli tra i peggiori in Europa. Ricordiamo inoltre che, coerentemente con tutto questo, sono aumentati negli ultimi anni i divari nel rischio di povertà tra under 35 e over 65 a forte discapito dei primi. Lo stesso crollo della natalità è in larga parte conseguenza della condizione bloccata degli attuali giovani-adulti.
Quindi non basta la luce alla fine del tunnel della recessione per tornare ad essere ottimisti sul futuro del Paese. Nemmeno serve tornare indietro con l’illusione di recuperare vecchie certezze. Serve un nuovo modello sociale e di sviluppo che metta al centro il ruolo attivo delle nuove generazioni nei processi di innovazione e produzione di benessere collettivo.
Dobbiamo far uscire i giovani dalle retrovie e schierarli in attacco con strumenti all’altezza delle sfide di questo secolo e con una visione di futuro desiderato da costruire assieme.