La ricetta per non condannarci al declino economico e all’insostenibilità del welfare, «è quella di attivare politiche lungimiranti sui meccanismi di rinnovo demografico sostenendo chi decide di avere figli», spiega Alessandro Rosina, ordinario di demografia all’Università Cattolica, autore di un libro dal titolo illuminante: «Niente figli siamo italiani. Un Paese con sempre meno bambini e un futuro sempre più incerto». Più che una campagna per incentivare i giovani a fare figli, è necessario che si trovino delle soluzioni per evitare che la genitorialità si traduca in povertà.
La campagna per promuovere la fertilità, con tutte le polemiche connesse alle modalità di comunicazione, ha avuto se non altro il merito di avere di nuovo sollevato il problema del calo della natalità in Italia. Come è noto, nel 2015 per la prima volta dal dopoguerra la popolazione complessiva è diminuita con un saldo negativo di 165 mila unità, peggio delle previsioni(-77mila). Nel 2015 le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia.
Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. Non è solo un problema sociologico. La demografia più in generale inciderà anche sul futuro del nostro Paese e sulla nostra economia. Gli under 25 italiani erano oltre 20 milioni negli anni Ottanta e tale valore risulterà dimezzato entro la metà di questo secolo. L’immigrazione svolgerà certamente un ruolo importante, ma le previsioni Istat, pur tenendo conto dei flussi in entrata, indicano un aumento della popolazione over 65 dal 20% attuale al 33% del 2050. Tutti questi dati avranno dei riflessi sia sul mondo del lavoro sia sul Pil. Come cresce il prodotto interno lordo con una demografia negativa? E come pagheremo le pensioni? Il vero tallone d’Achille è proprio il sistema pensionistico. Insomma i pochi nati dovranno risparmiare fin da subito per costruirsi una pensione. Peccato che anche sul fronte degli incentivi fiscali alla previdenza complementare le famiglie con più figli siano discriminate.
Il massimale annuo di deduzione dei versamenti effettuati a un fondo pensione o a un piano pensionistico complementare in capo a uno o a entrambi i genitori (se lavoratori) è lo stesso, indipendentemente dal numero dei figli a carico. Chi ha più figli e volesse essere previdente, iniziando a aprire un piano pensionistico, si troverebbe di fronte a un rigido tetto (5.164,57 all’anno) dentro il quale rientrano tutti i contributi della famiglia. Se poi il padre (o la madre) fosse per il Fisco un lavoratore incapiente, anche se volesse aprire un piano pensionistico per il figlio, si troverebbe a non potere neppure beneficiare delle deduzioni.
Ma questa è solo una delle contraddizioni. La ricetta per non condannarci al declino economico e all’insostenibilità del welfare, «è quella di attivare politiche lungimiranti sui meccanismi di rinnovo demografico sostenendo chi decide di avere figli», spiega Alessandro Rosina, ordinario di demografia all’Università Cattolica, autore di un libro dal titolo illuminante: «Niente figli siamo italiani. Un Paese con sempre meno bambini e un futuro sempre più incerto». Più che una campagna per incentivare i giovani a fare figli, è necessario che si trovino delle soluzioni per evitare che la genitorialità si traduca in povertà. I dati parlano chiaro: i figli sono un costo che in pochi sentono di accollarsi, soprattutto in tempo di crisi. Secondo l’Istat circa il 50% delle famiglie con almeno un figlio (il 60% nel Mezzogiorno, il 65% fra chi ne ha tre o più) ha dovuto affrontare rinunce economiche causate dalle spese per la prole. Più del 20% delle famiglie (il 34,5% fra quelle con tre o più figli) ha fatto ricorso ad aiuti in denaro. Con questi chiari di luna che senso ha chiedere a un trentenne con lavoro precario di fare uno o più figli?
Servono, più che slogan, interventi di welfare familiare effettuati non come mere politiche assistenziali ma al contrario come vie di promozione del benessere della famiglia e di tutti i suoi componenti prendendo spunto dal resto d’Europa. — Fe.Pe.