Favorire il successo di chi torna aiuta l’Italia a cambiare in meglio

27/03/2015
HINT MAGAZINE
Favorire il successo di chi torna aiuta l’Italia a cambiare in meglio HINT MAGAZINE

L’uso dei termini “fuga” ed “espatriato” sono i più usati nel dibattito pubblico e quelli meno adatti a cogliere la novità e le potenzialità che ha la mobilità delle nuove generazioni in questo millennio. Lo afferma Alessandro Rosina, professore di Demografia e Statistica sociale dell’Università Cattolica di Milano, presidente dell’associazione ITalents e padre del MeeTalents, che abbiamo intervistato per questa prima puntata della rubrica – che è anche e soprattutto un blog – “Cervelli di ritorno”.

Prof. Rosina, lei si è spesso mostrato critico verso il modo in cui la mobilità giovanile viene descritta dai giornalisti: cos’è che non funziona nella narrazione?

I talenti non fuggono, vanno dove possono trovare le migliori condizioni per dare i loro migliori frutti, senza curarsi troppo dei confini. I giovani del nuovo millennio sono antropologicamente predisposti all’apertura ad altre culture, al confronto, allo spostamento di breve e medio periodo per studio, lavoro o semplicemente per fare esperienze di vita. Inoltre non è vero che noi perdiamo più talenti di altri paesi, ne attraiamo di meno. Quindi la questione vera più che la fuga è la circolazione inceppata, il fatto che alla facilità con cui si esce non corrispondano opportunità adeguate per tornare o analoga attrattività verso talenti stranieri. Tutta questa ricchezza e complessità non si trova quasi mai negli articoli di giornale che con il reiterare luoghi comuni non aiutano a capire uno dei processi che maggiormente stanno rivoluzionando il sistema di vincoli e opportunità delle nuove generazioni. Un processo che sfugge alle vecchie categorie di lettura e interpretazione delle dinamiche di espatrio e che non riusciamo a gestire positivamente non solo per la carenza delle politiche, ma anche per il basso livello con cui è studiato, trattato e raccontato.

Quali cambiamenti ha notato in questi tre ultimi anni – dal primo MeeTalents a Milano all’ultimo di Perugia – nel modo di spostarsi dei giovani italiani?

È cresciuta molto la propensione ad andare all’estero. La maggior parte dei giovani italiani prende in considerazione tale opzione e comincia a prepararsi all’idea già durante gli studi. La crescita vale per tutte le categorie sociali ma con incidenza maggiore tra i laureati. Tra i giovani espatriati è aumentata la consapevolezza della propria condizione e del valore aggiunto della propria esperienza internazionale anche per il paese di origine. Sono anche pronti a tornare con più consapevolezza della sfida che questo comporta, sentendosi soggetti attivi di cambiamento e crescita.

Parliamo allora dei “cervelli di ritorno”, di chi cioè decide di ritornare in patria dopo un’esperienza all’estero. Qual è il suo identikit?

Non ne esiste uno valido per tutti. Sono molte le storie con le quali siamo venuti in contatto in questi anni. Ognuna diversa dalle altre. In ogni caso è più facile che torni un under 30, perché più avanti con l’età i progetti di vita e lavorativi diventano più radicati ed è più difficile cambiare. Ma conta molto anche il tipo di attività e la motivazione. Sempre di più però a tornare sono giovani che dopo un’esperienza all’estero tornano per far partire una startup o comunque per avviare un proprio progetto imprenditoriale; molto spesso nei settori più innovativi, creativi e promettenti del made in Italy e inserendoli in un mercato internazionale. Quello che li accomuna è senza dubbio la convinzione di valere di più rispetto a quando si è partiti e la minor disponibilità a dare per scontati i mali del nostro paese. Proprio per questo favorire il successo di chi torna può aiutare l’Italia a cambiare in meglio.