06/12/2018 | |
CORRIERE DELLA SERA |
Se c’è un ambito in cui l’Italia è considerata all’avanguardia rispetto ad altri paesi europei, è proprio quello relativo al congedo di maternità. I cinque mesi di astensione obbligatoria previsti per le madri (circa 21 settimane) e retribuiti totalmente, sono considerati preziosi. Di più, sacri. Tanto che quando si comincia a parlare di modifiche al congedo, si alza sempre il livello di attenzione e di polemiche.
Ieri la levata di scudi non c’è stata ma l’emendamento della Lega alla manovra (approvato dalla commissione Bilancio della Camera) che prevede che le lavoratrici possano restare al lavoro fino alla data del parto, ha fatto discutere. «Mina la libertà delle donne — ha fatto sapere Loredana Taddei, responsabile Politiche di genere della Cgil — soprattutto di quelle più precarie e meno tutelate, che in Italia, purtroppo, sono sempre più numerose e rischierebbero così di trovarsi di fronte a veri e propri ricatti del datore di lavoro». Più possibilista la Cisl: «La flessibilità può essere un’opportunità ma occorre vigilare per evitare abusi e pressioni a restare al lavoro». Fino ad oggi infatti il congedo obbligatorio prevede due sole opzioni: due mesi prima e tre mesi dopo la nascita del figlio. Oppure un mese prima e quattro dopo la nascita. Con questo emendamento, si potrebbe lavorare anche fino all’ultimo giorno.
Se per Paola Profeta, studiosa e promotrice di uguaglianza di genere, è un’opzione in più, per Alessandro Rosina, professore di demografia all’Università Cattolica di Milano, i rischi di abusi ci sono eccome. «Come sempre in Italia si parte con le buone intenzioni, ma poi possono ritorcersi contro — spiega —. Come è successo con il part-time: tutti a festeggiare perché siamo sui livelli europei ma nel resto d’Europa due terzi è scelto dal dipendente e un terzo è imposto, in Italia è esattamente il contrario». Profeta aumenterebbe ancora il grado di flessibilità: «Che ogni mamma sia libera di decidere come vuole, se andare via anche dieci o venti giorni prima — aggiunge la professoressa dell’Università Bocconi — la flessibilità non è mai un problema, capisco che parlare di modifiche al congedo sia un grosso tabù ma qui non si riduce niente. Si introduce una modifica che lascia inalterata la realtà delle cose». Per Luisa Quarta, responsabile del gruppo donne di MangerItalia «l’importante è che sia una scelta della donna». Ma perché l’azienda dovrebbe obbligare la futura mamma a lavorare fino all’ultimo? Che interessi potrebbe avere visto che i mesi di maternità obbligatoria resterebbero cinque? «Un carico di lavoro, carenza di personale — spiega Rosina — non deve succedere che la donna sia obbligata a restare fino all’ultimo». Come evitarlo? Per il professore va bene, come prevede l’emendamento, l’autorizzazione del medico. Ma va aggiunto un monitoraggio. «Almeno per il primo anno di applicazione. Poi se lo strumento funziona ed è efficace, lo si rafforza».