Calano i volontari? I giovani ci sono ma vogliono libertà

30/05/2023
Calano i volontari? I giovani ci sono ma vogliono libertà CORRIERE DELLA SERA

(DA CORRIERE DELLA SERA)
“Il volontariato non è finito, sta solo cambiando forma. E il crollo del numero dei volontari certificato dall’Istat non è necessariamente una brutta notizia. Basta guardare all’enorme mobilitazione, in particolare di giovani, per aiutare la popolazione colpita dall’alluvione in Emilia Romagna. La voglia di impegnarsi c’è, basta saperla interpretare”. Ne è convinto Alessandro Rosina, demografo, docente alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano ed esperto di giovani e politiche giovanili. Secondo Rosina, non è un dramma la notizia del milione di volontari in meno nel 2021 rispetto ai 5,5 del 2015 emersa dalla nuova rilevazione del censimento delle istituzioni non profit dell’Istituto Nazionale di Statistica.

Va bene professore, non drammatizziamo, ma un po’ di preoccupazione è comprensibile.

La fuga dei volontari dalle associazioni non è una fuga dall’impegno civico. I dati sul calo riguardano le realtà del non profit. Si tende a fuggire, e questo non vale solo per i giovani e per il volontariato, da un tipo di impegno che richiede eccessiva dedizione, costanza e soprattutto senso di appartenenza. I giovani non hanno bisogno di appartenenza, ma di esperienze. Vogliono fare quelle che abbiano valore per loro e che non comprimano la propria libertà di azione.

Il non profit cresce e alle associazioni è richiesto di dare un contributo sempre più forte per rispondere ai bisogni del territorio. Crescono i dipendenti e calano i volontari. Si può invertire questo trend?

Dobbiamo accettare il fatto che anche la scelta dell’impegno sociale non avviene più a scatola chiusa, ma si incanala in processi che richiedono la produzione di valore per sé stessi e per gli altri. Le organizzazioni hanno una naturale tendenza ad auto-conservarsi e replicarsi, è comprensibile e normale. Ma è solo mettendosi in discussione, accettando di farsi contaminare da modi di pensare diversi, che possono tornare ad essere attrattive.

Operazione difficile per un mondo, quello del volontariato, che è comunque va avanti in molti casi grazie all’impegno delle vecchie generazioni e che fatica a trovare ricambio.

Nessuno dice che sia facile, ma non vedo molte alternative. Adesso è ancora più complesso perché tante realtà molto strutturate finiscono per irrigidire la voglia di partecipare delle persone, chiedono forte impegno e vincoli, tutto ciò che oggi è più faticoso da accogliere. Non credo serva mettere in discussione la loro importanza, ma hanno la responsabilità di porsi in sintona con una realtà che muta e che esige maggiore flessibilità rispetto alle esperienze che i giovani vogliono fare. Devono trovare un punto di equilibrio fra l’esigenza di rimanere forti e radicate e aprirsi al cambiamento, sperimentando anche attività nuove nelle modalità più adatte ai giovani. Non ci si deve sorprendere né scoraggiare, è normale che i giovani ci spiazzino e mettano in discussione ciò che veniva fatto prima, che portino metodi diversi per essere attivi nelle realtà in cui vivono e operano.

I giovani oggi sono meno generosi e solidali?

Tutt’altro. La domanda di partecipazione non è mutata, vogliono essere più che mai protagonisti positivi e soggetti attivi della realtà. È cresciuta la voglia di dare un contributo e di contare non solo nella dimensione personale e soggettiva, ma anche collettiva. Prima i giovani pensavano e agivano in modo più individualistico, oggi c’è una gran voglia di rispondere e agire assieme. Lo dimostrano quelli che piantano le tende davanti agli atenei: chiedono che sia il sistema a cambiare, non la loro singola condizione a migliorare.

Altro che egoisti, fragili e incerti, come spesso crediamo.

Certamente la pandemia ha reso i giovani e i giovanissimi più fragili nelle loro competenze sociali. Ma ciò li ha resi più desiderosi di essere liberi. Hanno perso occasioni e tempo, non sono più disposti a conformarsi alle aspettative esterne, ma la voglia di stare in relazione con gli altri è cresciuta. È più difficile ingaggiarli, ma le associazioni devono aiutarli a superare le loro fragilità e a sviluppare le potenzialità.

È quindi più facile coinvolgerli in forme di volontariato informale ed episodico?

Credo le due forme di volontariato, quello tradizionale in associazione e quello svincolato e ‘fluido’, non debbano essere messe in contraddizione. L’azione informale può essere un modo per rafforzare l’impegno e fare sperimentare nuove strade: se vedono che aiutando gli altri migliorano la realtà e anche loro stessi allora è più probabile che si inseriscano in esperienze più strutturate.

Vale solo per i giovani?

Questo è il punto: sono dinamiche presenti anche nella vita degli adulti e dei post-adulti. In ogni fase della vita sta crescendo la voglia di essere più liberi e godersi il proprio tempo. Le generazioni numericamente più consistenti sono quelle che stanno entrando nella fase post lavorativa: sono una grande risorsa per il volontariato, ma l’impegno deve conciliarsi con le altre dimensioni della vita.